La Mosca di Salvini che fa ronzare le orecchie a Draghi

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Matteo Salvini in un precedente viaggio a Mosca indossa la t-shirt con l'immagine di Putin

di Massimo Lodi

Siamo sempre lì. Alla politica estera come prosecuzione della politica interna con altri mezzi. Al senso frainteso dello Stato. All’equivoco su ruoli e istituzioni.

Il Salvini che prende l’iniziativa di volare solitario a Mosca, per incontrare chissà chi e dare un imprecisato contributo alla de-escalation bellica, scartando dal gruppo ministeriale italiano a pro d’una una fuga in avanti; il Salvini che non tien conto del severo occidentalismo di Mattarella, dei recenti /complessi/delicati colloqui di Draghi con Putin e Zelensky, del piano di pace presentato da Di Maio, delle elettriche sensibilità internazionali, degl’infastiditi dubbi di tutti i partiti e perfino (se non principalmente) del suo; ecco, il Salvini che si auto-investe della missione d’una sorta di vice Santo Padre – un Santo Pare, sembrerebbe la sintesi – sarà davvero il messaggero dell’ecumenismo o non rischia un flop 2 dopo il flop1 al confine polacco?

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Massimo Lodi

Perplessità spontanee e non prevenzione acida su un importante leader che conta tre ministri nell’esecutivo. Quando c’è la guerra – e che guerra, viste le conseguenze economiche, sociali, umanitarie in angosciante deriva – si fa squadra e blocco. Niente di diverso. Perché i risultati di azioni individuali possono causare danni peggiori di quelli in essere. Uno in primis: il graffio di prestigio che l’Italia subirebbe da un eventuale fallimento della visita in Russia del Capitano. Ammesso che i russi lo accolgano. E poi: quali autorevoli russi? Disposti a parlare con chi si dichiara ambasciatore di chi altri?

Ovvio l’imbarazzo di Quirinale, Chigi, Farnesina, maggioranza parlamentare. Dentro la quale circola il sospetto che in realtà sia il bisogno di propaganda virtuosa a suggerire la mossa a Salvini sul rettilineo (traguardo il 12 giugno) delle amministrative e dei referendum sulla giustizia, promossi da lui coi radicali. I sondaggi lo indicano in affanno su entrambi i fronti, a differenza della Meloni, che guadagna consensi da una rilevazione all’altra: è ormai l’incubo della Lega. E dunque: uno stigma malizioso potrebbe marchiare tale retropensiero, ma se così non fosse, saremmo sempre lì. Siamo sempre lì. Alla politica estera come prosecuzione della politica interna con altri mezzi. Al senso frainteso dello Stato. All’equivoco su ruoli e istituzioni.

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