Al voto 76 Paesi in mezzo mondo. Ma non è sempre democrazia

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, mi fa piacere augurare a tutti un Anno Nuovo colmo di buone cose. Epperò non posso non osservare che il 2024 sarà un anno denso di molti avvenimenti fra i quali le numerose elezioni che si terranno nel nostro vasto mondo. Pensate circa 4 miliardi di persone sono chiamate al voto; più della metà della popolazione mondiale sarà chiamata alle urne in 76 paesi diversi fra i quali almeno 28 governati da regimi certamente non democratici. Se mai ce ne fosse bisogno conveniamo che la democrazia non è la forma di governo più affermata sul pianeta Terra.

Mi piace ricordare come Wiston Churchill sia stato un po’ il nonno di tutti noi, il nonno di questa Europa imperfetta. Un nonno un po’ eccentrico, che tracannava whisky, urlava, sbraitava, si lamentava ma allo stesso tempo era un uomo che non si arrendeva mai, sapeva comandare ma anche ascoltare, era risoluto ma ammirava chi era in grado di cambiare idea. Fu primo ministro, passò il proprio sessantanovesimo compleanno all’ambasciata di Teheran assieme a Stalin; nel 1930 in un discorso parlò di Stati Uniti d’Europa; vinse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1953 e aveva un’àncora come quella di Braccio di Ferro tatuata sull’avambraccio. Già vincitore sulla Germania nazista, così disse in un discorso alla Camera dei Comuni nel novembre 1947: «se è vero che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora, è bene che diventi un vizio, nella speranza che sia difficilissimo poi smettere».

Come noi tutti credeva nella democrazia e nei valori teorici che fondano l’Occidente: da quel dubbio originario che attraversa tutta la nostra cultura che passa per Spinoza, si arriva ai diritti della persona e si consolida nella forma dello Stato che ha nella separazione dei poteri la sua forma massima. Ma è proprio vero che la democrazia occidentale applichi correttamente le tante conquiste ottenute nel tempo e difenda l’individuo come la più alta espressione della cittadinanza? Che non sia toccata dalla corruzione né dal privilegio? Che non subisca un restringimento nella partecipazione a vantaggio di oligarchie? Ovviamente qualche dubbio emerge.

Nel 2024 voteranno otto dei dieci paesi più popolati del mondo, Stati Uniti, Russia, Brasile, India, Indonesia, Pakistan, Messico e Bangladesh e voterà anche l’Unione Europea. Nella metà di questi Paesi, le elezioni non sono né libere né regolari e sono assenti in molti altri i prerequisiti della democrazia, come la libertà di parola e di associazione. Per esempio le elezioni in Bangladesh, Messico, Pakistan, tutti paesi con regimi ibridi che combinano elementi di democrazia e di autoritarismo, “quasi” certamente non cambieranno regime.

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Ivanoe Pellerin

In Russia i giochi sono fatti da tempo. La Commissione elettorale centrale russa ha già respinto la richiesta della candidata pacifista Ekaterina Duntsova per partecipare alle elezioni presidenziali. La commissione ha citato “errori nei documenti” presentati. Non credo che Putin possa incontrare difficoltà ad essere di nuovo incoronato “zar di tutte le Russie”. L’India, che ha sorpassato la Cina piuttosto sofferente per la denatalità e per l’invecchiamento della popolazione e con problemi economici sempre più evidenti, porta alle urne un miliardo e mezzo di abitanti. L’attuale primo ministro Narendra Modi, espressione di un solido nazionalismo induista, nonostante qualche timore democratico e verso le minoranze religiose, non dovrebbe avere ostacoli ad ottenere il terzo mandato come capo del governo. Questa impresa è riuscita finora soltanto al protagonista dell’indipendenza indiana, Pandit Nehru. Modi gode di un’enorme popolarità da quando è entrato in carica nel maggio 2014, e il suo mandato ha coinciso con un periodo di grande crescita per l’economia indiana. Sotto la sua amministrazione l’India ha registrato un afflusso di investimenti diretti esteri pari a oltre 500 mld di dollari.

Di particolare interesse sarà, il 13 gennaio, l’elezione a Taiwan che potrà rimodulare le relazioni con la Cina in un momento critico per l’isola, abitata da 24 milioni di persone. Il Partito democratico progressista, impegnato per l’indipendenza del paese, secondo i sondaggi manterrà il controllo della presidenza e del parlamento. La presenza ostile al di là dello Stretto della Cina continentale, che continua a pretendere la «riunificazione della provincia», rimane un enorme problema per la stabilità dell’area dell’Indo-Pacifico. Gli occhi vigili della Cina scrutano con grande attenzione il risultato finale; tuttavia, la situazione taiwanese non rientra solo nell’orbita cinese. È molto chiaro che anche tutto l’Occidente, con gli Stati Uniti in prima linea, osserva con la massima prudenza l’esito di quelle che sono da considerarsi le elezioni più importanti e delicate della storia dell’isola. Non so se è una buona notizia ma nel suo discorso di fine anno Xi Jimping ha detto che la riunificazione con Taiwan è una “necessità storica”.

Il 5 novembre si svolgeranno le elezioni per il sessantesimo presidente della storia degli Stati Uniti. Si annunciano come tra le più infuocate della storia americana e dagli esiti imprevedibili. Probabilmente assisteremo ancora al duello fra Joe Biden, nonostante i problemi creati dal figlio Hunter, e Donald Trump che potrebbe essere bloccato dai suoi guai giudiziari o al contrario potrebbe partecipare sparigliando nuovamente le carte in casa e all’estero. Sulla sua partecipazione al voto deciderà la Corte Suprema. Forse le elezioni americane più difficili di sempre.

Ancora due note. A giugno voteremo in Italia per l’Unione Europea. Gli equilibri sono incerti. La povertà, le vicine guerre, i cambiamenti climatici e in evidenza i flussi migratori sono i temi al calor rosso della politica europea. Inoltre sul tavolo c’è una partita politica molto importante: l’allargamento dell’Unione alla Moldavia e all’Ucraina. Riusciranno i nostri eroi a trovare la giusta via per consolidare i rapporti fra i paesi di questa Europa imperfetta?

Per l’Ucraina il commento è piuttosto complicato. Il presidente Volodymyr Zelensky che teme il ritorno di Trump alla Casa Bianca, che vede il suo carisma per la prima volta un po’ offuscato, con una situazione di totale incertezza sul campo di battaglia, a fronte delle ambizioni politiche del generale Valery Zaluzhny, capo dell’esercito, non ha ancora deciso se affrontare il rischio elettorale che la legge marziale vieta da due anni. La priorità è non perdere la guerra. Ma è ciò possibile?

Cari amici vicini e lontani, come potete constatare il mondo (e tutti noi) si trova di fronte a scelte difficili. Un affettuoso augurio a tutti voi per un 2024 sereno e ricco di elezioni.

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