AQUILOTTO DELLA VALLE DEL SEVESO: “Un grande Correa ha trascinato una Lazio più affamata”

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Teodor Nasi

Una squadra a pezzi, senza fiato, con i titolari raffazzonati. Allenatore rigido, società tirchia e meschina. Unico colpo di genio di Lotito, prima della settimana cruciale, chiamare il prete per una benedizione. Alla squallida faccia dei romanisti che sfotterono.
E infatti, eccolo lì il miracolo.
Strakosha, che chiude come Beckenbauer nel 1970 contro l’Italia, con la spalla a pezzi, fa due mezzi miracoli. Per il resto è tranquillo e, anzi, si becca un rimprovero di Lulic il meraviglioso affinché tenga bassa la palla.
In difesa Acerbi fa muro, Bastos insegna a giocare ai cugini. Stop e tackle da manuale. Atteggiamento da Cannavaro dei bei tempi.
SMS tocca cento palloni, qualcosa fa, non sfigura. Dovrebbe essere il top player, ma fa niente, gloria anche a lui.
Poi c’è lui, il Tucu. Genio alla Pelè, numero uno. Non dico Maradona, perché Correa è un gentiluomo e poi non ce lo vedo a drogarsi. I primi due gol sono suoi. Caicedo e Immobile ci mettono la firma su capolavoro dell’argentino.
E infine, sontuoso, elegante, preciso, dominatore, il vero leader: Lulic. Anche quando gli passano palla male e in controtempo (il solito Milinkovic), se la cava da gran signore. Non sbaglia nulla, fa scorrere la squadra come un motore tedesco.
L’impressione è quella dei pirati che si avventano sul galeone col coltello tra i denti e trovano i fanti di marina che dormono. Reazione della Roma timida, strana. La difesa della Lazio poteva essere sbranata, bastava la voglia e la grinta, ma nulla. Squadra messa in campo bene, ma soporifera. La differenza l’ha fatta la voglia di vincere. Che noi avevamo.

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