Bianchi e Galimberti al ballottaggio mettono in gioco il futuro di Varese

VARESE – «Prenota pure un ristorante per martedì prossimo, a Roma». Scherza Davide Galimberti, sindaco uscente di Varese, rivolgendosi al suo antagonista al ballottaggio, l’onorevole Matteo Bianchi. L’invito malaugurante quanto goliardico a tornare ai lavori di Montecitorio in luogo dell’ufficio più importante di Palazzo Estense arriva al termine del faccia a faccia tra i due candidati, a Malpensa24 Web Tv. Confronto condotto dal nostro Andrea Della Bella e caratterizzato dal massimo fairplay. Al punto che non sono escluse battute, come si fa tra vecchi amici.

Avversari, ma con rispetto

In verità, Bianchi e Galimberti sono avversari che, in presenza, sfoderano un diplomatico aplomb. In altri momenti della campagna elettorale non se le sono mandate a dire: se le sono dette, eccome. Bianchi, con l’eventuale successo di Galimberti, evoca una Varese simile alla Stalingrado sovietica. Galimberti disegna invece una città come quella di Asterix, l’eroe gallico dei fumetti, nemico dei romani. Non proprio complimenti, se proprio vogliamo vedere. Ma fa parte del gioco, ci mancherebbe. La posta è politicamente alta: dalla parte del sindaco uscente è in ballo la riconferma e, quindi, un giudizio positivo su cinque anni di amministrazione. Di più, pesa la riconquista da parte della coalizione di centrosinistra e, prima ancora, del Partito democratico, del capoluogo provinciale. Sull’altro versante si punta a riappropriarsi di Palazzo Estense, fino al 2016 saldamente in mano leghista e del centrodestra. Quasi fosse una rivalsa nella città in cui la Lega ha mosso i primi passi e, per questo, essa ha un valore non soltanto simbolico per il partito di Salvini. Senza dimenticare le vette elettorali di Forza Italia, quando era in grande spolvero, e i contributi decisivi delle formazioni di destra.

Il Faccia a Faccia

Battere l’avversario e l’astensionismo

Della Bella incalza i suoi interlocutori su questi temi, incanala il confronto sulla sostanza politica del ballottaggio di domenica e lunedì prossimi. Poi, con le domande, introduce la pressante e preoccupante questione dell’assenteismo alle urne e, quindi, della gara per assicurarsi i consensi della vasta quanto indefinita area dei moderati. Certo, la concretezza amministrativa fa da sfondo al dialogo: la caserma Garibaldi, largo Flaiano, le stazioni e via elencando. Ma il leitmotiv richiama appunto la politica, i futuri scenari locali, la consistenza quantitativa e qualitativa dei partiti. Nessuno reticenza nemmeno davanti alle scomode sollecitazioni sul sovranismo o sull’egemonia piddina. Bianchi e Galimberti rispondono senza tentennamenti. Sono preparati, capaci e non temono le insidie giornalistiche. I due la sanno lunga, fiorettano a telecamere accese, fanno i compagnoni a microfoni spenti. Non è un caso che abbiano di fatto polarizzato le settimane di campagna elettorale e, infine, il voto.

Molto hanno fatto i ritorni in periferia della politica nazionale, i leader, le uscite spesso improvvide quanto sensazionalistiche dei capataz; di più hanno fatto e stanno facendo loro, Matteo Bianchi e Davide Galimberti, che nell’eterogenea, ampia, spesso arrogante, presuntuosa e deludente platea dei candidati di questa tornata elettorale, a Varese e altrove, danno l’idea che la politica è ancora frequentata da persone perbene. Lo scriviamo senza ombra di piaggeria, con la convinzione, almeno fino a prova contraria, che proprio da Varese, perlomeno a Varese, l’elettorato possa riscoprire la fiducia nei suoi rappresentanti istituzionali. E che vinca l’uno o l’altro, per il nostro ragionamento non fa differenza.

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