Bonus edilizi e malus politici

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Primi scricchiolii politici e operativi per il Governo di Giorgia Meloni

di Massimo Lodi

Sono tempi bizzarri per il governo. Il voto delle regionali ne conferma il gradimento. Lo stop al superbonus ne incrina il prestigio. Lo schiaffo del Ppe a Berlusconi anti-Zelensky ne guasta l’armonia. È come circonfuso da un’aura polverosa, peraltro solita a inquinare l’Italia da una legislatura all’altra. Stavolta pareva che tirasse una diversa brezza, più leggera, respirabile, persino frizzante. Invece, macché. Siamo sempre lì. Siamo sempre a Dante, direbbe il ministro Sangiuliano istitutore del padre politico della destra: ai “…sospiri che l’aura etterna facevan tremare”.

Aura, appunto. Tremare, appunto. Tremano (1) i beneficiari dei crediti fiscali, che se li vedono sottrarre dopo averci investito plausibilità. E assieme a loro il maxicartello delle imprese edili e del collegato indotto lavorativo. Il rimprovero di fondo: troppi repentini cambiamenti, nessun’affidabile chiarezza. Non si è mai certi di nulla, in questo Paese. A cominciare dal proprio destino economico-sociale. Cioè dell’orizzonte di vita, mica uno scherzo qualunque. Anziché con un Ddl improvviso/affannato, ed essendo noto il rischio di sforare i conti pubblici, perché non decidere la sterzata di strategia -munita dei necessari ammortizzatori- in sede di pianificazione della legge finanziaria?

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Massimo Lodi

Tremano (2) i centristi del team Meloni, pentìti del sostegno a un blitz imbarazzante; e alle prese con un’imprevista scomunica di differente natura. Se il presidente dei Popolari europei scarica Berlusconi, non è fantasia ipotizzare un ribaltone di partenariato nelle elezioni 2024 per il parlamento di Strasburgo. Già se ne vociferava: basta intesa Ppe-Socialisti, spazio a un nuovo asse tra il partito che fu di Kohl e quello che è di Meloni. La duttilità/il realismo del cattolicesimo politico è memorabile: il citato Kohl non esitò -a scopo utilitaristico, e nonostante una fronda avversa- ad arruolare Berlusconi quand’era Berlusconi. Oggi sembra pronto a ricalcarne lo schema il suo successore Weber, che se fosse il caso (come sembra lo sia) non indugerebbe a cooptare la Meloni. Cui giova, da presidente dei Conservatori in Europa, stringere un patto di governance funzionale anche (soprattutto?) all’obbiettivo d’una permanenza a Chigi sino a fine legislatura. Evento che sarebbe epocale, visto l’andazzo di segno opposto degli esecutivi italiani; e che solo un ombrello sovranazionale favorirebbe.

Tremano (3) coloro che guardano dall’opposizione le convulsioni nella maggioranza. Gli è evidente che, causa incertezze/litigi/miopie, van perdendo -al traino delle sconfitte nelle urne- i bonus e i superbonus di cui godono le minoranze presso i cittadini insoddisfatti. Ma se, invece d’adoperarti in fretta nel recupero della smarrita allure elettorale, ti logori in discussioni di lana caprina; e non trovi il cemento indispensabile a un fronte unitario; e sbagli candidature in importanti chiamate a raccolta, tipo le fresche regionali; e c’impieghi mesi, tra surreali arzigògoli, a individuare il leader del partito di maggior peso d’un tale fronte; se insomma continui a picconare la tua reputazione/il tuo prestigio, come puoi costruire la nuova casa di centrosinistra senz’acquisire i ponteggi dismessi da chi s’è garantito un alloggio istituzionale a Roma e sta per trovarne un secondo all’estero?

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