di Massimo Lodi
Sono tempi bizzarri per il governo. Il voto delle regionali ne conferma il gradimento. Lo stop al superbonus ne incrina il prestigio. Lo schiaffo del Ppe a Berlusconi anti-Zelensky ne guasta l’armonia. È come circonfuso da un’aura polverosa, peraltro solita a inquinare l’Italia da una legislatura all’altra. Stavolta pareva che tirasse una diversa brezza, più leggera, respirabile, persino frizzante. Invece, macché. Siamo sempre lì. Siamo sempre a Dante, direbbe il ministro Sangiuliano istitutore del padre politico della destra: ai “…sospiri che l’aura etterna facevan tremare”.
Aura, appunto. Tremare, appunto. Tremano (1) i beneficiari dei crediti fiscali, che se li vedono sottrarre dopo averci investito plausibilità. E assieme a loro il maxicartello delle imprese edili e del collegato indotto lavorativo. Il rimprovero di fondo: troppi repentini cambiamenti, nessun’affidabile chiarezza. Non si è mai certi di nulla, in questo Paese. A cominciare dal proprio destino economico-sociale. Cioè dell’orizzonte di vita, mica uno scherzo qualunque. Anziché con un Ddl improvviso/affannato, ed essendo noto il rischio di sforare i conti pubblici, perché non decidere la sterzata di strategia -munita dei necessari ammortizzatori- in sede di pianificazione della legge finanziaria?
Tremano (2) i centristi del team Meloni, pentìti del sostegno a un blitz imbarazzante; e alle prese con un’imprevista scomunica di differente natura. Se il presidente dei Popolari europei scarica Berlusconi, non è fantasia ipotizzare un ribaltone di partenariato nelle elezioni 2024 per il parlamento di Strasburgo. Già se ne vociferava: basta intesa Ppe-Socialisti, spazio a un nuovo asse tra il partito che fu di Kohl e quello che è di Meloni. La duttilità/il realismo del cattolicesimo politico è memorabile: il citato Kohl non esitò -a scopo utilitaristico, e nonostante una fronda avversa- ad arruolare Berlusconi quand’era Berlusconi. Oggi sembra pronto a ricalcarne lo schema il suo successore Weber, che se fosse il caso (come sembra lo sia) non indugerebbe a cooptare la Meloni. Cui giova, da presidente dei Conservatori in Europa, stringere un patto di governance funzionale anche (soprattutto?) all’obbiettivo d’una permanenza a Chigi sino a fine legislatura. Evento che sarebbe epocale, visto l’andazzo di segno opposto degli esecutivi italiani; e che solo un ombrello sovranazionale favorirebbe.
Tremano (3) coloro che guardano dall’opposizione le convulsioni nella maggioranza. Gli è evidente che, causa incertezze/litigi/miopie, van perdendo -al traino delle sconfitte nelle urne- i bonus e i superbonus di cui godono le minoranze presso i cittadini insoddisfatti. Ma se, invece d’adoperarti in fretta nel recupero della smarrita allure elettorale, ti logori in discussioni di lana caprina; e non trovi il cemento indispensabile a un fronte unitario; e sbagli candidature in importanti chiamate a raccolta, tipo le fresche regionali; e c’impieghi mesi, tra surreali arzigògoli, a individuare il leader del partito di maggior peso d’un tale fronte; se insomma continui a picconare la tua reputazione/il tuo prestigio, come puoi costruire la nuova casa di centrosinistra senz’acquisire i ponteggi dismessi da chi s’è garantito un alloggio istituzionale a Roma e sta per trovarne un secondo all’estero?