Teatro In Mostra punta su Busto: sei spettacoli tra S. Giovanni Bosco e Manzoni

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OccidOriente

BUSTO ARSIZIO – «A Busto Arsizio avremo il piacere e l’onore di rappresentare, nella stagione 2023/24, ben sei spettacoli diversi tra due dei principali teatri cittadini. Una singolarità, e per noi una grande gratificazione». Laura Negretti, attrice e direttore di Teatro In Mostra, ha svelato i particolari degli appuntamenti in cui nei prossimi mesi si potrà vedere la compagnia comasca sul palco dei teatri San Giovanni Bosco e Manzoni.

Una proposta che toccherà diversi generi teatrali

La sala di Sant’Edoardo ospiterà, tra ottobre e aprile, ben cinque eventi: «Una scelta del suo direttore artistico, Claudio Fantinati, che ci ha conosciuto e visto in scena. Ha ritenuto che fosse possibile con Teatro In Mostra perché non c’è un unico tipo di proposta, spazieremo tra generi differenti. In cartellone ne abbiamo tredici-quattordici con una scelta che in questo caso comprenderà, distribuite all’interno del calendario, due commedie brillanti, “Divorzio all’italiana” e “La spartizione” (6 ottobre e 9 febbraio), due opere di teatro civile, “Occidoriente” e “Like” (1 dicembre e 12 aprile), e infine un classico, l’adattamento di “Addio alle armi” di Ernest Hemingway in “D’amore e guerra” (19 gennaio)».

Like

La drammatica attualità di “Barbablù 2.0”

Tra le prime tre date ci sarà “Barbablù 2.0”, in programma il 25 novembre al Manzoni: «Un lavoro che tratta un tema di drammatica attualità, la violenza contro le donne, in coppie dove non c’è amore. In una di queste, in apparenza perfetta, vengono messi in atto prima la violenza psicologica e poi la distruzione dei legami e l’allontanamento di lei da ogni persona amata. Una rielaborazione della favola caratterizzata da un forte impatto emotivo per il pubblico, tanto che si può dire che l’assistere a “Barbablù 2.0” faccia cadere la quarta parete».

Il velo, la minigonna e social distopici

Seguirà “Occidoriente”, dell’autore iraniano Hamid Ziarati, che parla non solo di quanto di velo sulla testa si possa ancora morire, «ma anche dei pregiudizi e luoghi comuni che continuano a incatenare le donne, sia in Oriente che in Occidente. Come nel caso della minigonna, prima simbolo della liberazione femminile, che adesso vede la donna obbligata a incarnare uno stereotipo che non le appartiene. Se ripensiamo all’imposizione del velo sembrano allora due cose simili».
La chiusura sarà con “Like”, che ricorda le atmosfere della serie tv “Black Mirror”: «È un lavoro ambientato in un futuro distopico, in una cittadina dove il valore di ogni persona è basato sul punteggio raccolto in un supersocial, a cui tutti sono iscritti. E tutti, ventiquattro ore su ventiquattro, possono vedere il tuo. Quanto tu possa valere sul lavoro, quanto tu possa amare, etc.: non bisogna mai scendere sotto a un certo numero di like».

Divorzio all’italiana

Il bisnonno del regista a Caporetto e il medico americano

«Non mancheranno serate dedicate a spettacoli con il sorriso sulle labbra tratti dai capolavori del nostro cinema come “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi o “Venga a prendere il caffè da noi” che, ispirato in parte dal film di Alberto Lattuada con Ugo Tognazzi e in parte dal romanzo di Piero Chiara, racconterà vizi e virtù della provincia italiana».
Inoltre la rappresentazione delle vicende narrate in “Addio alle armi” si intreccerà con una storia vera, quella del bisnonno del regista Marco Filatori: «Giovanissimo soldato semplice durante la disfatta di Caporetto, perse un braccio e nel corso della ritirata fu assistito proprio da un medico americano ufficiale di complemento, come fu all’epoca Hemingway».

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