Elezioni: patti chiari amicizia lunga. Per convincere gli indecisi

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Enrico Letta chiede per il suo Pd il 4 per cento di voti in più. Una discreta manciata di consensi che, secondo il segretario dem, eviterebbe al centrodestra di superare il 70 per cento di rappresentanza parlamentare, tenendolo sotto il 55 per cento “e quindi di riportare la partita nella contendibilità”. Aggiunge Letta: “Tutto questo ovviamente per la questione degli uninominali, dove si gioca la partita e dove viene eletto il primo o la prima. Ecco perché questa torsione ipermaggioritaria ci dice che per evitare il rischio della democrazia c’è solo il voto per noi”. Rischio per la democrazia. Inciso: la legge elettorale in vigore, il vituperato Rosatellum, è stata impostata e votata proprio dal Pd. Così per dire.

Per contro, quel 4 per cento di cui parla il leader piddino, è ovviamente nelle mani dell’elettorato. Più ancora in quel 30 per cento di italiani indecisi che, secondo gli analisti, potrebbero determinare un rimescolamento dei risultati come preannunciati dai sondaggi. Fermo restando il vantaggio, probabilmente incolmabile, attribuito al centrodestra e, nel centrodestra, a Fratelli d’Italia, molto potrebbe ancora accadere in tutti i partiti, in senso trasversale. Prestando orecchio a Antonio Noto, presidente dell’Istituto Noto sondaggi, “non si vota domani. C’è quindi il tempo per cambiare ancora qualcosa”. Una modifica degli equilibri interni agli schieramenti, per essere precisi.

Questo, nonostante una campagna elettorale che, al di là di alcune sciocchezze – da chi promette che votando Lega non ci saranno più mendicanti rom in giro fino a chi azzarda un reddito sicuro anche per le casalinghe – lascia intravvedere scarse differenze programmatiche. La situazione di emergenza economica, il rincaro astronomico delle bollette di elettricità e gas, l’inflazione che sale, il pericolo di una disoccupazione diffusa e repentina fin dall’autunno, obbligano i partiti ad occuparsi degli stessi problemi. Anche se non ci pare ci siano soluzioni nette sul tappeto, nessuno ha la ricetta buona per uscire dalla grave impasse, nessuno ci dice come, se e quando, una volta al governo, ci tirerà fuori dal guado. In Italia e nei rapporti internazionali.

Nemmeno ce lo spiega Giorgia Meloni, che tutti (o quasi) vedono già a Palazzo Chigi, prima donna presidente del Consiglio, la quale usufruisce di un consenso indotto dalla sua politica di opposizione al governo Draghi. Un’opposizione sicuramente saggia, che la spinge oggi attorno al 25 per cento. Attenzione, però, sempre secondo gli analisti, gli effettivi elettori di destra sono soltanto il 7 o l’8 per cento. Gli altri sono in uscita dai due alleati storici, Lega e Forza Italia, dai Cinque Stelle e, manco a dirlo, dal centrosinistra. Insomma, di tutto un po’. Sarà vera gloria? La risposta arriverà soltanto dopo, a giochi chiusi. Sappiamo che l’elettorato italiano è volubile, fluido, incostante: premia “di pancia” ma cambia subito opinione. Renzi, i grillini, Berlusconi insegnano.

E allora, per tornare agli indecisi, è su di loro che in queste settimane andranno concentrandosi le attenzioni dei partiti. Un lavoro di convincimento complicato, per tutto quello che sappiamo, per il forte disagio verso la politica, il senso di sfiducia verso i politici, la disattenzione diffusa alle questioni sociali, il forte desiderio di spensieratezza. La campagna elettorale sinora ha viaggiato molto sugli slogan e sulle contrapposizioni personali, benché ci sia bisogno di una maggiore, propositiva, persuasiva concretezza, di proposte vere: sul versante economico, i partiti dicono tutti più o meno le stesse cose, quasi a prefigurare, per paradosso, un altro governo di unità nazionale. Chiedono sponda, cioè soldi, allo Stato per le categorie in difficoltà. Senza idee per il futuro prossimo, cioè su come affrontare e risolvere la crisi congiunturale, la schiera degli indecisi potrebbe andare a ingrassare il già esteso esercito del non voto.

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