“Fra Quelli d’Italia”: l’evoluzione del melonismo

lodi meloni fratelli

di Massimo Lodi

Berlusconi dice: meritavo un ruolo nel governo. Per la verità, di ruoli se n’è scelto più d’uno, negli ultimi mesi. Per esempio: voleva fare il presidente della Repubblica, e poi sedersi sullo scranno più alto del Senato e infine assurgere a regista del centrodestra ante-voto. Preso infine un terzo dei suffragi della Meloni, a che cosa avrebbe potuto aspirare? Un ministero non sarebbe bastato a gratificarlo delle aspettative, suonando perfino da diminutio. Dunque va bene così. Deve andargli bene così. Nulla da recriminare, sembrerebbe. E, caso mai, tanto da ringraziare. Senza Giorgia, di Silvio che resterebbe? La gloria del passato. Del resto, l’amico fraterno Confalonieri glielo suggerì: rimettiti a lei. Puntiamo su di lei.

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Massimo Lodi

La scommessa, accettata dal re di Arcore, è andata bene. E la regina d’oggi è diventata colei che fu, con l’ex premier dei giorni fastosi, la titolare del dicastero della Gioventù. Non poteva esserci un nuovo Silvio, c’è invece una nuova Silvia. Lo testimonia il processo di metamorfosi in atto nel partito: a dieci anni dalla nascita, Fratelli d’Italia si sta evolvendo in Fra Quelli d’Italia. Cioè: formazione che converge dall’estremismo alla conservazione, dalla rigidità statalista alla modalità liberal, da un’identità marcata a movenze trasversali. Difatti i sondaggi sono premianti: danno FdI oltre il trenta per cento, cogliendo nella Meloni un fattore di novità, coraggio, innovazione. Anche di duttile adattamento alle circostanze: prende un po’ (molto) dal predecessore a Chigi, rilascia un po’ meno (molto meno) del precedente standing di oppositrice: cenni sparsi, magri soddisfacimenti, parsimonioso rispetto delle promesse.

Il sovranismo arrembante ha aiutato la conquista del potere, ora è il tempo del populismo moderato. Dal solido al liquido: bisogna nuotare nella realtà, e Giorgia ne è capace. Sopisce, derubrica, témpera. Tanto da incutere in Berlusconi la paura d’essere fagocitato, e figuriamoci in Salvini, al quale ha sottratto un’incredibile quota d’elettori nel Nord ex indipendentista, iperpadano, lombardocentrico. Perciò si comprende l’uscita recriminante di Silvio, e si giustificano i bollori di Matteo. Tutt’e due gareggiano nell’aggiudicarsi i meriti governisti, laddove ci sono. Tutt’e due scaricano le colpe, quando emergono. Ma non è questo il gioco premiante. Lo è il tentativo, ormai evidente, dell’ex allieva di Gianfranco Fini di riaprire la partita ch’egli dovette chiudere: la formazione d’un rassemblement di destra insieme moderna e antica, radici nel passato prefascista e proiezione nel futuro postcontemporaneo. L’idea è d’entrare davvero nella Terza Repubblica, stravolgendo gli schemi della Seconda che, dietro l’apparenza, assai mutuarono in sostanza dalla Prima. Progetto ambizioso, che però gl’imprevisti in accadimento sul piano internazionale ed economico, con ricadute di grave impatto sociale, accelerano. E allo stesso tempo preoccupano. Il decennale di Fra Quelli d’Italia, di gradimento lievitante fra i connazionali, si celebra nella consapevolezza d’una responsabilità sempre più pesante. Tanto onore, tanti nemici: la crisi bellica, la crisi inflazionistica, la crisi lavorativa, la crisi monetaria, la crisi declinata come ciascuno conosce sulla sua pelle. Ci vorrebbe solidarietà per vincerle una ad una, e invece spesso manca dai partner tenuti a garantirla. Come il ruolo scelto dalle urne prevede: l’unico e decisivo da interpretare.

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