Gavirate, madre e figlio uccisi dal monossido: tutti assolti

GAVIRATE – Erano accusati di omicidio colposo per la morte di una donna 93enne e del figlio di 61anni, uccisi dal monossido di carbonio il 28 ottobre 2019, mentre si trovavano nel loro appartamento al piano terra di una palazzina situata in via dei Pozzi a Gavirate. Ma i due imputati, un termotecnico e un amministratore di condominio, sono stati assolti dal Tribunale di Varese, perché il fatto non sussiste.

Una tragica casualità

Usciti di scena gli imputati, difesi dagli avvocati Simona Ronchi e Vittorio Crosta, e per i quali anche il pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione, resta la tesi emersa nel corso del dibattimento dalle parole degli esperti chiamati dalle difese ad esprimersi sulla tragedia.

Esperti che, in sostanza, hanno attribuito l’evento ad una tragica casualità, determinata dall’accensione in contemporanea di alcuni scaldabagni e di una cappa da cucina presente all’ultimo piano del condominio. Circostanza che si era verificata più volte nel corso degli anni, ma che solo quel giorno di ottobre di quattro anni fa aveva provocato degli effetti devastanti.

Gli apparecchi erano collegati erroneamente ad un unico impianto di smaltimento, con la conseguenza che il giorno dell’intossicazione fatale i fumi prodotti da uno degli scaldabagni, anziché uscire dalla canna fumaria, tornarono nello stabile per via del ventilatore acceso della cappa all’ultimo piano, che in pratica avrebbe fatto “da tappo”, favorendo la concentrazione di monossido nell’appartamento delle vittime.

Impianto non regolare

L’impianto non era a norma, stando a quanto si è appreso dal processo, ed era per giunta carente di manutenzione, come rilevato durante i sopralluoghi dai consulenti delle parti, per i quali le caldaie a gas e la cappa avrebbero dovuto essere collegati a due differenti condotti, così da evitare interferenze. Ma queste lacune non sono da attribuire al termotecnico – che si era occupato dell’installazione di uno degli scaldabagni e non dell’impianto della cucina all’ultimo piano – e nemmeno all’amministratore di condominio. Così ha stabilito il giudice.

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