Il prevosto monsignor Pagani: «A Busto serve un rinnovamento della politica»

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BUSTO ARSIZIO – «Una Chiesa libera, leggera e ispirata al Vangelo per affrontare il grande problema di una comunità cristiana anagraficamente sempre più anziana e all’interno della quale le strutture tradizionali sono sempre rilevanti». Ma anche l’importanza, oggi più di ieri, delle relazioni umane a prescindere dalla differenza di ricchezza e dall’appartenenza politica. E, appunto, la politica, nel senso più ampio del significato; anche delle persone, che alle logiche partitiche devono anteporre  obiettivi comuni per il bene della città.

Il filo conduttore è Busto, luogo dove al fianco della grande ricchezza c’è un povertà che cresce e, quotidianamente, pone la grande domanda del bisogno, a cui si fa sempre più fatica a rispondere. Sono questi i grandi temi sui quali il prevosto di Busto don Severino Pagani (a lui, l’editore di Malpensa24 Fabrizio Iseni porge i più cordiali saluti), già professore di materie antropologiche e spirituali, docente di filosofia e rettore del liceo del seminario di Venegono su incarico del cardinale Carlo Maria Martini, riflette e invita a riflettere.

Monsignor Pagani, come si pone la comunità cristiana in quest’epoca di grandi e rapidi cambiamenti nella quale le radici cristiane, ma anche quelle laiche sembrano non attecchire più?
«
Il problema è capire cos’è oggi la comunità cristiana. Che è diventata anagraficamente più anziana, ha strutture tradizionali sempre meno rilevanti e un senso di appartenenza che si è indebolito. Oggi ci si rivolge alla Chiesa quando si ha una necessità e non perché ci si sente parte di una comunità. Forse il paragone è un po’ forte, ma molte volte viene vista come un’agenzia che risponde a dei bisogni».

La sua è una riflessione in generale o descrive anche la realtà bustocca? 
«I protagonisti della Chiesa, a partire dal clero, diventano sempre meno e sempre più anziani. A Busto un prete su tre ha più di ottant’anni e i sacerdoti dedicati alla pastorale giovanile, che fino a pochi anni fa erano sette, ora sono due. E’ una realtà che non risparmia Busto».

L’anzianità anagrafica della Chiesa, ma anche della società, è un parametro inesorabile. “Superabile” solo con un ricambio di energie nuove. E’ forse questo il nodo da sciogliere? 
«A Busto, ma non solo, siamo chiamati a un grande compito a livello personale, istituzionale e civile: infondere continuamente il motivo del Vangelo con rinnovata fiducia e inflessibile speranza. Certo, in un contesto dove non si può negare che ci sia malcontento e sfiducia. Amplificate dalla debolezza della famiglia, da relazioni sentimentali sempre più flebili, da ruoli parentali sempre più dispersi e dalle realtà civili e istituzionali abbastanza inadempienti. Anche Busto, una città tradizionale, avrebbe bisogno di una Chiesa libera, leggera e ispirata dalla verità del Vangelo».

Monsignor Pagani, lei è arrivato a Busto otto anni fa. Che città ha trovato allora e com’è cambiata ora? 
«Busto è una città con un nucleo storico tradizionale che ha fatto cose straordinarie, nel passato, a motivo della fede e dell’intelligenza economica. Gente capace di dare lavoro, produrre ricchezza e costruire opere di autentica carità. Poi, con il passare degli anni, alcuni protagonisti sono morti e l’economia ha perso vivacità. Restano le opere di carità, che però esigono una ristrutturazione e un coordinamento più moderno ed efficace. Sia sul versante ecclesiastico che civile».

D’accordo, ma oggi quale città vede? 
«Una città dove ci sono ancora molti ricchi e molti poveri».

E la chiesa come si pone di fronte a queste due “polarità”? 
«Ha il compito di unire nel nome del Vangelo la preghiera e la carità, e trasformare sia l’una che l’altra. La preghiera alimenta l’attenzione a coltivare l’intelligenza della fede e permette di vivere nella complessità del mondo reale, mentre la carità a motivo della fede dà risposte ai nuovi bisogni che la città presenta».

Quali sono i nuovi bisogni ai quali dare risposte? 
«Tra i tanti ne cito due: il bisogno istituzionale e le povertà emergenti. A livello istituzionale la carità di un cristiano diventa politica. E allora ciò di cui ha bisogno questa città è un reale rinnovamento politico, fondato sull’amore sincero del bene comune. Perciò chi si impegna su questo fronte dovrebbe lasciar cadere le preoccupazioni partitiche e, prima di pensare a chi dovrà amministrare, dovrebbe spogliarsi dei personalismi e individuare qualcosa di veramente necessario e di comune da fare».

Sembra un appello generale senza bandiera e a tutta la classe politica, a dare il meglio. E’ così? 
«Credo che i prossimi mesi saranno un preziosissimo banco di prova. Oggi amministrare una città secondo il Vangelo è un atto di eroismo. E in questo senso, a livello locale, l’aspetto amministrativo dovrebbe venire prima del dibattito politico nazionale».

E le nuove povertà? 
«È un bisogno che necessita di risposte concrete. Di fronte alle quali la Chiesa non deve tanto preoccuparsi di se stessa, delle proprie cose e neppure delle proprie opere di carità, talvolta difficili da coordinare, bensì premurarsi di collaborare, per dare risposte reali partendo dallo specifico del Vangelo. In questo contesto la carità diventa innanzitutto solidarietà umana e questa solidarietà deve essere primaria in una società laica e democratica delle istituzioni civili. Anche perché oggi l’apparato burocratico non favorisce certo iniziative troppo privatistiche».

Insomma, oggi è diventato difficile anche fare carità o, per usare un termine più laico, solidarietà? 
«Sì, ma dobbiamo continuare a infondere il motivo del Vangelo con una sempre rinnovata fiducia e una inflessibile speranza».

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