Infiltrazioni mafiose, Report accusa la Juve, ma la tesi non regge

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Premessa: la montagna non ha partorito il classico topolino, ma neppure ha innescato il pandemonio che era stato ipotizzato, orchestrato, preparato. Il riferimento ovviamente è alla trasmissione di Report, su presunti rapporti tra la Juve e la malavita, che da settimane riempie di lanci promozionali il palinsesto con tappe di avvicinamento costanti. Una trasmissione che chiosa in sostanza dicendo che la Juve ha avuto gli anticorpi per resistere a tentativi di possibili infiltrazioni di stampo mafioso, ndranghetista nel caso specifico. Dopo aver picchiato a lungo su altri tasti, il teorema si sgonfia da solo. Un po’ come se dopo un lungo flirt iniziato con una donna conosciuta su una chat di incontri, ravvivato di volta in volta con scambi di foto osè, al momento clou si presentasse Mariangela, la figlia di Fantozzi, al posto della bomba sexy che ti eri costruito nella testa. Crollo totale o quasi. Di sicuro l’impianto che in tanti si erano immaginati è venuto un po’ meno. Non è crollato, ma si è trasformato in qualcosa di diverso. Meno inquietante, ma comunque resta l’imbarazzo. È il rapporto tra tifosi e società a finire nel mirino. Un brutto spaccato che potrebbe essere esteso a tanta parte delle tifoserie italiane, ma questo non lo sappiamo perché a parlare sono le inchieste. E le carte, in questo caso, parlano solo della Juve. Minimizzare, però, la trasmissione dicendo che vabbe’ tutto si limita a due striscioni che non dovevano entrare è un’idiozia. I due striscioni della vergogna sono quelli in cui si fa riferimento alla tragedia di Superga. Assistere alla telefonata del responsabile della sicurezza Juve con il tifoso, chiamiamolo così, da cui nasce l’autorizzazione allo striscione è un pugno allo stomaco. Roba da vomito vero. Dietro quella telefonata c’è il mondo oscuro, il sottobosco inaccettabile: una società di calcio che scende a patti con la tifoseria più becera, con personaggi noti alle forze dell’ordine per non essere proprio dei chierichetti. Pregiudicati con i quali le società di calcio non devono avere nulla a che fare. Rapporti zero e cordone ombelicale tagliato chirurgicamente senza attenuanti. Un racconto contenuto nelle carte del processo, nelle motivazioni di primo grado e in quelle dell’appello.

Juve parte offesa

La Juve è parte lesa, è la parte intimidita come scrisse il giudice nelle motivazioni del processo di primo grado. Ma è anche la parte, ha scritto sempre il giudice, ben disposta a concedere il business dei biglietti ai tifosi, chiamiamoli così, a patto che si garantisca tranquillità all’interno dello stadio. Grave. Secondo il giudice sostanzialmente l’ordine pubblico all’interno dell’impianto era garantito da questo compromesso. C’è un soggetto intimidito e c’è un intimidatore e la Juve in questa faccenda non è il carnefice, ma la vittima.

Perché non costituirsi parte civile?

Questo deve essere sempre chiaro. Mi chiedo, però, solo una cosa: una domanda che sarebbe giusto rivolgere all’avvocato che assiste la Juventus. Perché non costituirsi parte civile in questo procedimento in modo da salvaguardare l’immagine? Perché? Per snobismo? Per convinzione che tanto non si riesca a ottenere nulla da certi personaggi? O perché c’è paura di ricevere ritorsioni? Non so darmi una risposta ovviamente. Forse per non precludersi la possibilità di esercitare azione di risarcimento del danno in sede civile, ma vista la portata della faccenda, per una questione di immagine, non sarebbe stata una mossa sbagliata. Forse. Detto questo, fare un parallelismo  tra la Juve e la ‘ndrangheta è totalmente fuori luogo. Alla luce degli elementi che sono emersi l’accusa non regge neanche un po’. Soprattutto ascoltando la chiusura della trasmissione. Troppo rumore per molto meno di quanto era stato apparecchiato.

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