La Mariupol d’oggi e i nostri eroi di ieri

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Fra gli eroi della Repubblica Romana anche i varesini Enrico Dandolo. Luciano Manara, Emilio Morosini. Stessi ideali degli eroi di Mariupol

di Massimo Lodi

Perché a Mariupol non s’arrendono? Rifiutano la sottomissione, salvandosi? Scelgono d’affrontare l’ineluttabile? Perché esiste, continua a esistere, il senso dimenticato dell’agire valoroso che obbliga all’irrazionale, all’impossibile, all’eroico. Un esempio lontano ci riguarda da vicino, aiutando a capire.

Emilio Morosini, figlio del nobile Giovanni e di donna Emilia Zeltner, nacque a Varese il 17 giugno 1831 a villa Recalcati. Nel giardino, un’urna custodiva il cuore dell’eroe polacco Thadeusz Kosciuszko, di cui era stata pupilla la contessa, assistendolo durante la straziante agonia. Il Morosini divenne amico dei fratelli Enrico ed Emilio Dandolo, anch’essi varesini. Insieme frequentarono l’istituto milanese diretto dal professor Antonio Boselli, che sarebbe morto durante le Cinque giornate. Studiarono letteratura e lingue straniere, praticarono canto e scherma. Successivamente allievo delle scuole ginnasiali e di Brera, Emilio fu preso con gli amici da spirito patriottico, grazie alla conoscenza di Luciano Manara, più vecchio di qualche anno. Nel marzo del ’48 salirono sulla prima delle duemila barricate a difesa dagli austriaci.

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Massimo Lodi

Seguì la partecipazione alle battaglie dell’indipendenza, ingaggiate nelle file dei bersaglieri. Rifiutata la smobilitazione dopo l’armistizio Salasco e negandosi il rifugio in Svizzera, Morosini, Manara e i Dandolo accolsero l’invito di Mazzini che chiamava i giovani a presidiare la Repubblica romana. I quattro si misero agli ordini di Garibaldi. Scrisse Emilio il primo maggio ’49 ai familiari: “Si tratta di difendere una città dall’invasione straniera; e dell’onore delle armi italiane, così vilipeso. Roma è disposta a battersi all’ultimo sangue, le barricate sono bellissime, la difesa ben intesa, il popolo animatissimo. Trovo quello che abbiamo fatto conforme al dovere di soldati e italiani. Della Repubblica non me ne importa un fico, ma dell’Italia e del suo onore penso diversamente”.

Enrico Dandolo fu ucciso il 3 giugno sul Gianicolo a Villa Corsini, Luciano Manara il 30 a Villa Spada, Emilio Morosini ferito a morte il primo luglio a Porta San Pancrazio. Dopo infinite sofferenze, morì il 25 ottobre. Comunicò alla madre il dottor Pujade, chirurgo aiutante maggiore dell’ospedale di Santo Spirito: “Quella bella e graziosa testa di diciotto anni, così bianca e più pura delle statue di marmo d’un grande maestro d’arte, nel darmi il suo ultimo bacio mi chiamava fratello”. Per riportare a casa le salme dei compagni, Emilio Dandolo dovette superare innumerevoli traversie. I funerali si svolsero il 12 settembre: lacrime di dolore e disperazione da tutti, specialmente da Annetta Morosini che aveva perduto il fratello Emilio, il fidanzato Enrico e l’amico Luciano. Ma ebbe la forza d’animo di dire: “Sono stati capaci d’educare con l’esempio i contemporanei ad amare la libertà e a sacrificarsi per essa”. I loro resti trovarono posto dentro un piccolo tempio disegnato dallo scultore Vincenzo Vela.

Forse, non vi pare?, questa lontana/struggente storia ci fa sentire prossimi, di cuore e di ragione, alla gente di Mariupol. Al sacrificio per sottrarsi alla dominazione tirannica. Ai loro Morosini, Dandolo, Manara. A un Gianicolo di collocazione ideale, non solo geografica.

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