Mai parlar male di Garibaldi. E del Festival di Sanremo

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di Gian Franco Bottini

Qualche giorno fà predicevamo che il 70° festival di Sanremo, il mitico “Festival della canzone italiana”,  avrebbe oscurato l’interesse per le elezioni regionali di Lombardia e Lazio che, messe insieme, fanno 16 milioni di italiani; non pochi! Chiamati alle urne domenica e lunedì.

Pare proprio che  le nostre previsioni si siano puntualmente avverate. Gli share di ascolto delle serate sanremesi,10 milioni abbondanti di telespettatori, ci fanno pensare che c’è più interesse nel sapere chi vince il Festival che non chi saranno i nuovi presidenti delle più importanti regioni italiane. Merito di Amadeus, colpa della politica o italiani allegro popolo di canterini? Fate voi.

Di sicuro il Festival è oramai un totem nazionale e qualche riflessione sulla legittimità di questo ruolo forse ce la possiamo permettere evitando, nelle intenzioni, di cadere in critiche perché parlar male oggi di Sanremo sarebbe, si usava dire, come “parlar male di Garibaldi”. Certo che per chi ha un po’ di memoria, e purtroppo anche un po’ di anni, vedere cosa sia oggi il Festival e pensare ai suoi modesti inizi in bianco e nero (da Nilla Pizzi a Cinico Angelini)  vien da apprezzare quanto questo effervescente  “settantenne” sia un miracolo della natura, una specie di Benjamin Button capace di invertire ogni ragionevole percorso “biologico”di invecchiamento; una roba che il buon Berlusca pagherebbe una cifra per conoscerne la ricetta!

Solo pochi anni fa, cinque o giù di lì, il Festival era ancora quello dello smoking, del farfallino e delle discussioni sulle mise delle signore. Oggi è quello dei veri o falsi nudi, della parolaccia d’autore, dei tatuaggi a tutto corpo e di qualche esternazione da “fumato” concerto rock; il mondo è cambiato ed  anche il Festival; niente da dire, ma sicuramente tutta un’altra cosa!

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Gian Franco Bottini

Se poi si presenta anche il Presidente della Repubblica e, apertamente o meno, si infarcisce il canovaccio delle serate di dati politici, allora è proprio vero: più che un totem il Festival di Sanremo si candida ad essere l’appuntamento annuale in cui la nazione verifica il suo percorso economico, politico e sociale. E questo, per la verità, ci sembrerebbe un po’ troppo. Non vorremmo che, più prima che poi, lo stesso Presidente della Repubblica, per assicurarsi un largo ascolto, fosse costretto ad andare su quel palco a fare il suo annuale discorso alla nazione.

Oggi comunque sarebbe più logico chiamarlo Festival ”anche” della canzone italiana, tali e tanti sono gli ingredienti che infarciscono questa colorita pizza. Non siamo in grado di entrare nel merito del valore artistico-musicale di questa edizione e tanto meno della credibilità delle varie classifiche, non fosse altro perché la storia ci insegna che, come in tutte le cose della vita, molti di quelli che oggi sono considerati capolavori furono a suo tempo poco apprezzati dalle varie giurie, probabilmente sempre attente e guidate da valutazioni istintive o commerciali.

Siamo anche consci  che le nuove tendenze musicali, per affermarsi, hanno bisogno del loro tempo e della giusta platea anagrafica; non possiamo comunque esimerci dal verificare che le performance di “vecchi” ed affermati artisti con le loro “vecchie” ed affermate musiche hanno trovato un diffuso ed intergenerazionale consenso e, permetteteci di dirlo, hanno dato un gran contributo a “salvare la serata”. Potremmo anche dire che, da spettatori, si ha spesso l’impressione di essere in un frullatore “troppo pieno”, dove le molte ospitate, più o meno illustri, non seguono un filo logico ma corrispondano alla regola “se passi di lì, fai dentro un salto”.

Se poi l’intendimento fosse quello di fare del Festival un riferimento annuale a tutto campo, sono accettabili anche le testimonianze su problemi sociali del Paese con l’avvertenza che , forse pur senza volerlo, si rischia facilmente di buttarla in politica, correndo il rischio di mettere sul palco tanti improbabili predicatori alla Celentano. La responsabilità degli organizzatori in questo senso è grande, perché i messaggi che calano da quel palco, indipendentemente da chi li pronuncia, per molte persone diventano verità assoluta e i testimonial diventano facilmente degli “influenzatori”; niente altro che la logica dei social.

E allora, giusto per  fare degli esempi e indipendentemente dai discutibili contenuti dei loro interventi delle scorse serate, il colore della sua pelle dà alla Egonu la credibilità di poter portare una  testimonianza, in tema di immigrazione, che, condivisibile o no nei contenuti, può avere il carattere della concretezza. Il conto in banca della Ferragni invece non le dà, obbiettivamente, la credibilità per poter parlare con cognizione di causa della condizione femminile nel nostro Paese, fatta di disagi e difficoltà dei quali lei ne ha sicuramente solo sentito parlare.

Ci scusiamo con “Garibaldi” se ci è sfuggita qualche osservazione non gradita, che nulla però può togliere al fatto che fra le poche certezze di questi momenti, una ce ne resta intangibile :“Sanremo è sempre Sanremo”.

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