Malnate, «Domenichini ha ucciso Carmela Fabozzi per rapinarla». Chiesto l’ergastolo

VARESE – Sergio Domenichini è l’assassino di Carmela Fabozzi e merita la pena massima, quella dell’ergastolo. La richiesta formulata dal pubblico ministero Valeria Anna Zini alla Corte d’assise del tribunale di Varese è arrivata dopo una requisitoria durata due ore, nella quale il pm ha ripercorso nel dettaglio tutti gli elementi a carico del 67enne, raccolti durante le indagini sull’omicidio avvenuto a Malnate il 22 luglio 2022. Indagini condotte dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Varese e in seguito dai Ris di Parma.

L’omicidio e la rapina

Domenichini ha ucciso con lo scopo di rapinare Fabozzi, una pensionata di 73 anni, sorpresa mentre era da sola nel suo appartamento di via Sanvito a Malnate, e lo ha fatto per mettere le mani sui gioielli della donna – collane e anelli – da vendere per procurarsi le risorse economiche necessarie a partire per le vacanze al mare insieme alla compagna. Questa la conclusione del pm, che ha poi aggiunto: «Sono quattro decenni che l’imputato delinque in maniera ininterrotta, rappresentando un pericolo per la società».

Domenichini, sempre secondo la tesi accusatoria, avrebbe inoltre sfruttato la sua posizione di volontario Anteas, una associazione che offre servizi di trasporto agli anziani, per avvicinare Fabozzi (che non era socia di Anteas) e alla fine compiere il delitto: «Ha strumentalizzato i servizi di una associazione benefica. L’omicidio è l’apice di una escalation di violenza iniziata con altre rapine in cui le vittime sono state avvelenate, e per fortuna non sono morte».

Le prove

Le principali prove a carico del 67enne sono quelle presentate ai giudici dai testimoni della procura durante il dibattimento: le impronte digitali sul pesante vaso di vetro trovato in casa della vittima, e che sarebbe stato usato per colpire violentemente la donna, nove volte al capo; il dna dell’uomo rinvenuto sotto un’unghia della pensionata, colpita nel corridoio all’ingresso dell’appartamento, trascinata sul pavimento e poi colpita di nuovo a terra; le impronte di scarpe lasciate nell’abitazione di via Sanvito e compatibili con le suole delle scarpe sequestrate dai carabinieri a Domenichini; il fatto che il telefono del 67enne abbia agganciato una cella che copre l’abitazione della pensionata in un orario che per l’accusa coincide con quello dell’omicidio: tra le 9.49 e le 10.46 nel 22 luglio 2022.

Carmela Fabozzi, è emerso dall’esame dei testimoni a processo, non si separava mai dai gioielli spariti dalla sua casa il giorno del delitto. Gioielli che per il pubblico ministero sono stati venduti in un compro oro dall’imputato, che doveva recuperare i soldi per una vacanza che non poteva permettersi.

La difesa

«Bisogna avere delle certezze per condannare all’ergastolo. E la prova della colpevolezza dell’imputato non è stata raggiunta», ha affermato invece l’avvocato Francesca Cerri, difensore di Domenichini, che alla corte ha chiesto l’assoluzione del suo assistito.

Il 67enne, secondo il legale, si sarebbe trovato «nel posto sbagliato e al momento sbagliato» intorno alle 12 del 22 luglio 2022, e non in mattinata, quando il suo cellulare aveva agganciato più celle oltre a quella che copre via Sanvito, e quindi «non è detto che fosse esattamente nel luogo in cui si sono svolti i fatti». Domenichini verso mezzogiorno era sì in via Sanvito, ma perché aveva appuntamento con la pensionata, che aveva conosciuto come volontario di Anteas.

Sulla scena del crimine

«Oggi Sergio Domenichini ha un fine pena fissato al 2034, ma all’epoca dei fatti era un uomo libero. Dettaglio che va tenuto in considerazione per valutare il suo comportamento nella casa della signora Fabozzi», ha spiegato l’avvocato Cerri, riprendendo in sostanza quanto già raccontato da Domenichini stesso nelle sue dichiarazioni spontanee ai giudici. L’uomo avrebbe trovato la 73enne in «un lago di sangue», già morta, e avrebbe lasciato l’appartamento senza chiamare i soccorsi per paura di finire nei guai a causa dei suoi numerosi precedenti penali.

Domenichini, ha proseguito l’avvocato Cerri, in casa Fabozzi non si era premurato di cancellare le tracce del suo passaggio, «perché non è un assassino». Dubbi, infine, sul fatto che l’arma del delitto sia il vaso trovato nella casa della vittima («non ha spigoli vivi, al contrario di quanto detto dai Ris in aula, e se fosse stato usato con grande forza si sarebbe rotto»); e dubbi anche sulla finalità dell’omicidio per come è stato inquadrato dall’accusa, cioè a scopo di rapina: «In casa di Carmela Fabozzi sono stati ritrovati soldi e gioielli. L’imputato era andato al Compro Oro nel pomeriggio del 22 luglio, ma per vendere dei preziosi appartenenti alla madre».

Risarcimento per i familiari

Gli avvocati di parte civile, Andrea Boni e Rachele Bianchi, hanno chiesto ai giudici un risarcimento complessivo di 420.000 euro per il figlio e la nipote di Fabozzi. La sentenza arriverà il 28 febbraio.

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