Crisi Malpensa, a rischio 13mila posti di lavoro nell’indotto. Mille licenziamenti certi

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MALPENSA – Nel corso del 2020, oltre il 60% delle imprese del settore terziario ha visto dimezzare il proprio fatturato rispetto al 2019, il 37% dichiara una situazione stabile, mentre poco più del 2% può vantare un aumento. Che l’emergenza sanitaria abbia avuto una diretta conseguenza su Malpensa, ormai è noto. Soprattutto nell’ambito del turismo. Ora, a distanza di un anno e mezzo dal primo lockdown, si torna a parlare della situazione che coinvolge imprese e lavoratori che vivono grazie all’indotto aeroportuale. A suon di numeri, dati e percentuali.

Ne parla un’indagine firmata dagli Enti Bilaterali del terziario e del turismo della provincia di Varese, realizzata in collaborazione con la società di ricerca EconLab Research Network per conto del nuovo osservatorio “Spazio Indagine Varese”. Presentata oggi, 22 giugno, da Alessandro Minello (EconLAB Research e docente all’Università Cà foscari di Venezia), la ricerca si è concentrata principalmente sulla crisi dello scalo della brughiera, tra difficoltà incontrate, strategie adottate per affrontare le sfide emerse e raccogliendo gli umori generali sul prossimo futuro. Dai qui, le aspettative di imprese e dipendenti: dalla necessità di nuove competenze, alle strategie di riqualificazione del personale e delle attività. Oltre alle richieste alle istituzioni e alle proposte utili per rilanciare una volta per tutte Malpensa. Presenti anche Giuseppe D’Aquaro e Alessandro Castiglioni, rispettivamente presidenti dell’Ente Bilaterale Terziario e di quello Turismo.

Le difficoltà delle imprese: i numeri

La prima parte dell’indagine è stata condotta su un campione di 124 imprese del territorio. Per lo più si tratta di micro e piccole imprese. I numeri parlano chiaro, individuando «il settore del turismo come il più penalizzato», ha spiegato Minello. Infatti, l’84% delle attività riferisce di aver subito una riduzione media del fatturato del -56% rispetto al 2019. Le principali cause sono da attribuire alla «diminuzione della clientela (85%), l’insostenibilità dei costi fissi (35%) e alle perdite dovute ai mancati incassi (30%)». Quote inferiori, invece, riguardano la «minor spesa da parte dei clienti (25%), la carenza di liquidità (18,8%), le difficoltà a mantenere il personale (16,3%) e i pagamenti puntuali dei fornitori (8,8%)». Simili le condizioni del commercio, con il 55% delle aziende che si sono dichiarate in difficoltà nel 2020, e dei servizi, circa il 38%. Quasi la metà delle imprese ha usufruito degli ammortizzatori sociali per circa l’87% dei propri lavoratori.

Nuove strategie

Per far fronte alla crisi di Malpensa, il 68,5% delle aziende «ha adottato alcune strategie, come la chiusura volontaria dell’attività». Nel commercio, molti hanno virato sull’ideazione di nuovi prodotti o nuove modalità di vendita, sfruttando l’online ad esempio. Cambio drastico anche nel turismo: l’82% ha sperimentato strategie alternative, il 63% ha optato per «sospendere volontariamente la propria attività in alcuni periodi dell’anno», il 26% si è orientato verso nuove modalità di somministrazione del servizio (come il delivery o l’asporto).
Nei servizi, invece, il 60% delle aziende ha orientato i propri sforzi verso le «nuove modalità del lavoro a distanza, tipo smart working o teleconferenze».

Tra le altre strategie adottate, il 25% delle imprese «ha puntato su tre leve differenti di rilancio», cambiando il proprio mercato di riferimento («rivolgendosi a clienti più giovani»), abbassando i prezzi e ampliando l’area territoriale di azione.

Prospettive positive e rischi

Nonostante tutto, le prospettive sono positive per l’85,4% delle imprese, tra chi afferma che «l’attività andrà avanti nei prossimi mesi e chi ha fiducia in una ripresa». Sono invece il 13,8% le attività che rischiano di chiudere, «nel caso in cui la situazione non migliorasse». In questo caso si parla di un numero «compreso tra 6mila e 7mila aziende», per un totale di «12 o 13mila addetti in una situazione di incertezza lavorativa». Le imprese che invece sono sicure di abbassare la saracinesca raggiungono lo 0,8%, «circa 400 o 500 aziende, per un migliaio di posti di lavori». Nel caso in cui venissero sbloccati i licenziamenti nei prossimi mesi, circa un quinto delle imprese riterrebbe in esubero il 39% del proprio personale.

Tra le soluzioni ipotizzate per il rilancio dell’aeroporto, emergono: il potenziamento dei collegamenti dell’alta velocità e lo sviluppo di un nuovo polo attrattivo del Terminal 2, in un’ottica sostenibile. A queste si aggiungono una serie di soluzioni che vanno dalla riqualificazione dei servizi, dei prodotti e del lavoro, al rinnovo delle infrastrutture al supporto delle istituzioni.

I lavoratori e la crisi

La seconda parte dell’indagine è stata condotta su un campione di 192 lavoratori all’interno del sedime aeroportuale. Nel corso del 2020, il 92% dei lavoratori ha usufruito degli ammortizzatori sociali, attribuendone un’utilità di 7,5 punti su 10, «nel garantire loro una continuità reddituale e lavorativa». Tra le misure più utilizzate, la riduzione di orario e il lavoro su turni.

Non sono mancate le difficoltà, che ha colpito il 67,2%. Tra le principali, «l’adeguamento ai protocolli di sicurezza, l’organizzazione del lavoro con i colleghi e la conciliazione lavoro-famiglia per via delle nuove modalità». Ma nonostante tutto c‘è fiducia per l’84,4% di loro, che pensa di mantenere il proprio posto nei prossimi mesi.

Nuove competenze

Ciò che spicca però è la necessità di acquisire nuove competenze, soprattutto da un punto di vista «organizzativo e relazionale»: il 78% dei lavoratori è riuscito a colmare le proprie lacune, per la maggior parte in modo autonomo (70,9%) o con l’aiuto dei colleghi d’ufficio (24,1%). Altri hanno usufruito dei corsi organizzati dall’azienda in cui lavorano (26,6%) o da enti formativi esterni (8,9%).

L’avvento digital

Durante il 2020, il 45,8% dei lavoratori ha avuto esperienze dirette con l’utilizzo dei nuovi strumenti digitali, per lo più legati alle piattaforme per videoconferenze. E più dei tre quarti di loro pensa che dovrà continuare a farlo anche quest’anno. In un quadro simile, poco più della metà degli intervistati ritiene di dover acquisire maggiori competenze nel loro utilizzo. Ma aldilà delle competenze digital, quasi tutti (il 94,3%) chiedono «un maggior supporto da parte delle imprese e delle istituzioni, avvertendo la necessità di riacquistare una maggior stabilità economica e lavorativa».

Più stabilità

A fronte dell’attuale clima di incertezza, il 94,3% dei lavoratori avverte la necessità di riacquistare una maggior stabilità economica e lavorativa. Ne è un esempio chiaro la richiesta di poter eventualmente «usufruire degli ammortizzatori sociali per tutto il 2021, trasversale a tutti i settori e con una maggior propensione tra i lavoratori del commercio».

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