Mensa dei poveri, la difesa di Cassani: «A Gallarate fu baluardo di legalità»

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GALLARATE – Ancora parola alle difese nel processo Mensa dei poveri. In tribunale a Milano, oggi 5 giugno, l’ennesima udienza dello tsunami politico-giudiziario che nel maggio 2019 spazzò via Forza Italia in provincia di Varese con l’arresto di Nino Caianiello e dei suoi più fidati sodali, portando alla luce un giro di appalti truccati e nomine pilotate.

La difesa Cassani

Tra le posizioni al vaglio c’era anche quella del sindaco leghista di Gallarate, Andrea Cassani, finito a processo per una questione del tutto marginale rispetto al gran giro di mazzette e retrocessioni di cui è completamente estraneo. Cassani era accusato infatti soltanto per due turbative d’asta e per lui, lunedì scorso, il pubblico ministero milanese Stefano Civardi ha già chiesto l’assoluzione con formula ampia. Oggi è stato il suo difensore Cesare Cicorella a ribadire il concetto già contenuto nell’ordinanza che portò agli arresti del 2019: «In un ambito di politica corrotta – ha detto l’avvocato – il sindaco Cassani fu baluardo di legalità». Fu lui, infatti, ad opporsi alla variante puntuale al Pgt che, secondo l’accusa, avrebbe spinto Paolo Orrigoni, ex patron di Tigros, a proporre tramite Pier Tonetti, imprenditore dell’area di via Cadore sulla quale avrebbe dovuto sorgere un nuovo supermercato, il pagamento di una mazzetta da 50mila euro per velocizzare l’operazione.

Zingale non prese un euro

Chiesta l’assoluzione anche per  Giuseppe Zingale, all’epoca direttore generale di Afol, accusato di corruzione in concorso con l’europarlamentare Lara Comi. Zingale è stato presentato come un manager preparato che intendeva preparare il personale all’apertura di uno sportello europeo per poi permettere ai Comuni di accedere ai fondi dell’Unione Europea. Assunse l’amica e socia di Comi, il cui mandato in Europa prevedeva proprio la promozione del territorio e delle attività imprenditoriali, Teresa Bergamaschi. Ci furono dei problemi: secondo Bergamaschi, che ha però dato almeno 5 versioni diverse dei fatti, Zingale non pagava, mentre secondo Zingale era Bergamaschi che non lavorava. Di mezzo ci sarebbe stata una “provvista” da 10 mila euro che Bergamaschi e Comi avrebbero dovuto versare e che, però, a un certo punto sparisce dalle dichiarazioni della professionista. E con questa anche la presunta corruzione.

Nessuna retrocessione

Sempre sul fronte Comi è stato affrontato anche il tema relativo alla truffa ai danni dell’Unione Europea. Una parte è già quasi completamente prescritta o lo sarà entro qualche mese. Resta la questione legata all’aumento di stipendio di un collaboratore dell’europarlamentare, commisurato all’aumento di un carico di lavoro. In realtà per i magistrati quel plusvalore avrebbe dovuto essere retrocesso a Caianiello.
Come ha sottolineato l’avvocato Ermanno Talamone oggi in aula, però, la retrocessione non avvenne mai: il mullah e il suo entourage non ricevettero nemmeno un euro dal collaboratore. Che mai – ha ancora aggiunto il legale – ha cercato di ingannare l’Ue, tanto che fu il Parlamento Europeo ad approvare l’upgrade monetario. Il processo si ferma ora sino al 2 ottobre per eventuali repliche.

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