VISTO&RIVISTO Il vizio della speranza fatica a morire

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di Andrea Minchella

VISTO

NEVIA, di Nunzia De Stefano (Italia 2019, 86 min.).

Cenerentola. Oggi. A Napoli. Ma con più poesia e meno retorica della fiaba disneyana. Nunzia De Stefano confeziona una potente favola moderna grazie, soprattutto, alla straordinaria e penetrante bravura della giovane ma già consolidata Virginia Apicella. “Nevia”, infatti, ci racconta di una ragazza, ancora troppo piccola per odiare e troppo grande per sognare, che deve sopravvivere in un mondo triste e gelido in cui ogni sentimento umano sembra essere evaporato per sempre.

La piccola Nevia, che deve badare anche alla sorellina Enza, vive con la nonna che non esita a frequentare brutti giri pur di racimolare qualche soldo. Nevia, però, quella vita non la vuole fare. Non sa come, ma prima o poi sente che dovrà lasciarsi alle spalle quel mondo e quella gente. Ma è abbastanza sveglia da capire che certe occasioni non capitano a quelle come lei. Anzi. Come le dice la zia Lucia, che sembra essere l’unico vero essere umano che ruota intorno all’esistenza di Nevia, le donne che nascono nel loro ambiente solo una cosa possono fare. Ma Nevia non molla. Anche se la nonna le ha già trovato un fidanzato, un ragazzo poco raccomandabile che comunque può darle “un futuro” migliore di quello che da sola può guadagnarsi, lei si ostina a dribblare con fermezza e con dolcezza tutti gli ostacoli che le si presentano.

Nevia è realistica e pragmatica. Ma appena, per caso, entra in contatto con un circo che proprio vicino casa sua si appresta a dare spettacolo, la sua piccola e insignificante vita assume un valore diverso. Anche se è solo un piccolo circo di periferia, Nevia in quel mondo tocca con mano il calore dei rapporti tra esseri umani. Si scalda subito grazie alla dolcezza delle persone che vivono quel tendone. Si scalda subito con il calore che proviene anche dalle bestie che in quel circo sembrano essere delle creature magiche. In quel circo Nevia può sentire l’odore, o la puzza come le dice la nonna, di una vita che non ha mai avuto. E dunque Nevia adesso può sperare. Può sperare concretamente che la sua vita non è destinata a quel mondo da cui lei vuole scappare. Adesso una strada nuova le si è palesata davanti. Quel circo diventa tutta l’immaginazione possibile di una ragazza di 17 anni la cui fantasia è stata rubata parecchi anni prima. Quel mondo fatto di attori, trucchi e trapezisti diventa l’unica via di fuga per la piccola Nevia e la sua sorellina.

Nunzia De Stefano, anche grazie all’apporto del potente Garrone i cui primi film ricordano, per stile e grammatica, questa piccola opera d’arte, ci regala senza fronzoli formali né retoriche sbrodolate un ritratto asciutto e realistico della vita difficile di un’adolescente nelle periferie mute e sorde delle città moderne. Un ritratto, questa pellicola, che senza sbavature ci regala un’esperienza necessaria e preziosa dentro un universo che spesso è vittima, nella cinematografia seriale e non, di eccessive stereotipizzazioni e di generici cliché. Qui assistiamo ad una narrazione asciutta, cruda e vera ma che è completamente permeata di una primordiale poetica che ci rende meno atroce questo potente viaggio nella miseria umana più cupa e straziante.

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RIVISTO

NON E’ ANCORA DOMANI (LA PIVELLINA), di Tizza Covi e Rainer Frimmel (Austria-Italia 2009, 100 min.).

Un piccolo miracolo passato troppo in sordina. Un capolavoro che poggia la sua struttura su una storia sussurrata e raccontata quasi in silenzio. Un film necessario che ci parla dell’accoglienza e della fratellanza. Un potente racconto della famiglia, della maternità e della genitorialità. “La Pivellina”, per lo stile e la grammatica, sembra un documentario che narra una vicenda tanto semplice quanto evocativa. In una Roma distratta e periferica, due circensi trovano da sola e abbandonata la piccola Asia. La portano subito nel circo per accudirla e per decidere cosa fare. Ne scaturiranno accese discussioni su quali decisioni prendere.

Il progetto è firmato da due fotografi professionisti che decidono, in questo caso, di filmare tutto con una camera a mano in un piano sequenza praticamente quasi unico. Il ritmo senza pause o stacchi rilevanti diventa l’architrave su cui poggia l’intera pellicola. Un piccolo film con un grande cuore pulsante che merita di essere cercato, trovato e guardato.

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