Mondiali di calcio e derive etiche dell’Occidente

bottini calcio mondiali

di Gian Franco Bottini

E’ innegabile che, partito un po’ in sordina per i mal di testa delle bollette o per l’assenza della nostra nazionale, il campionato del mondo di calcio ha conquistato via via la platea televisiva. Panem et circenses. Una realtà che dura nei secoli e alla quale, francamente, è difficile sfuggire.

Quest’anno però, per molti aspetti, questi campionati rappresentano una edizione molto particolare,  dove non è difficile verificare che il calcio oramai è “anche un gioco”, ma prevalentemente è molto altro. Il calcio mobilita le masse più che l’amor patrio, crea business e giro di soldi, e dove ci son soldi la politica non sa star lontana. Lo si è capito dall’inizio, con l’assegnazione del campionato al Qatar, un paese povero di calciatori ma ricco di petrolio, dove andar a fare calcio a livello mondiale, come disse un inascoltato giornalista, era come “andar a vendere ghiaccioli al polo nord”.

Prima la politica calcistica (Fifa) e poi quella dei “palazzi” si fiondarono sul boccone e, come sta emergendo, a suon di sacchi da indifferenziata che, pieni di banconote, girarono per l’Europa, la cosa andò in porto. Qualcuno sommessamente sollevò il problema dei diritti civili, poco prioritari in quel Paese, ma solo oggi, a campionato pressochè concluso, la questione viene prepotentemente a galla; il che fa pensare ad un ampia, diffusa e consapevole disattenzione che fa brutalmente temere che “il più sano c’ha la rogna”.

Si sussurra che parlare di Qatar e non anche di Marocco sia riduttivo, il che motiverebbe l’adozione totale della squadra di quest’ultimo quasi fosse la squadra di casa: innegabili i meriti sportivi, ben più politicamente rilevanti i rapporti di consanguineità geografica, culturale e religiosa, fra i due Paesi.

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Gian Franco Bottini

Pur conoscendo la strisciante  ma rilevantissima presenza degli investimenti qatarioti in Europa (immobiliari, economici, finanziari) viene da  porsi la domanda del perché di questo oneroso interessamento di un Paese, così diverso, per un evento storicamente occidentale e per il settore calcistico in genere. Per trovare una risposta bisogna forse partire da lontano, quando lo zar Putin, desideroso di mettere i piedi in Occidente, incaricò un paio dei sui fedelissimi oligarchi di impossessarsi dei più prestigiosi club calcistici inglesi, inserendosi così profondamente in un vasto fenomeno popolare come quello sportivo, nel cuore dell’Europa.

Con le debite proporzioni, nulla di diverso di quello che fece Berlusconi, con il Milan. al momento della sua  “discesa in campo” e nulla di diverso di quello che nel più recente passato ha fatto lo stesso Emiro del Qatar con la squadra di Parigi. Ora gli oligarchi se la son filata via, ma il Paperone qatariota è invece entrato a gamba tesa ( per stare in tema) nel mercato calcistico, costringendo gli altri club, a conduzione europea, ad inseguirlo nelle sue dispendiose e spesso folli iniezioni finanziarie.  

In sintesi: il calcio, fenomeno di massa, inteso come strumento di penetrazione sociale e, col tempo, fors’anche culturale. Se l’ipotesi fosse confermata il campionato di calcio, ed  il calcio in generale,  sarebbero un importante tassello nell’ambito di una operazione di rivalsa e, in un certo senso, un tentativo di capovolgimento di ruoli (per implicità di espressione, fra “colonizzati e colonizzatori”. E ancora, se questa ipotesi fosse confermata ci troveremmo di fronte anche alla tragica situazione di una Europa che, con la sue fragilità politiche ed etiche, apre lei stessa varchi profondi per pericolose  infiltrazioni .

Ritornando al calcio, situazioni (da chiarire e  confermare) come quelle che in casa nostra stanno scuotendo un’ importante società piemontese (non è escluso che non restino isolate) sarebbero figlie di tutto quanto detto e farebbero vedere il calcio più che il grande gioco capace di far innamorare la gente,  una bolla finanziaria pronta a scoppiare. Senza voler esagerare, se ciò avvenisse, data la sua natura popolare, sarebbero inevitabili anche ripercussioni sociali, con qualcuno pronto ad approfittarsene a buon prezzo.

L’ipotesi dell’impossibile? Ce lo auguriamo, perché sarebbe brutto un giorno accorgersi che lo splendore di questi campionati di calcio sia stato una sorta di  ballo di gala su un Titanic che sta affondando.

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