Musulmane vestite in piscina: libera scelta o imposizione?

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Il burkini delle polemiche, anche a Busto Arsizio

Nel suo intervento al meeting ciellino di Rimini, il presidente Sergio Mattarella ha sottolineato l’urgenza di rispettare le diversità. Un richiamo autorevole alla Costituzione nata “per superare, per espellere, l’odio, come misura dei rapporti umani”. Pensiamo sia difficile eccepire nella sostanza, benché non sempre sia scontato e facile “rispettare le diversità”. Anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni, nella convivenza con culture e tradizioni che vanno via via affiancandosi alle nostre e finiscono per inserire identità che, appunto, non sono quelle che ci appartengono e caratterizzano.

Premessa funzionale a introdurre un tema che sta tenendo banco in molte località e che, proprio in questi giorni, ha dato una scossa anche alla sonnolenta estate bustocca: il bagno in piscina o al mare delle donne musulmane che vi si tuffano vestite o, caso mai, con il classico burkini. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di una questione marginale rispetto alle tante, ben più impellenti e attuali di questi ultimi tempi. Al contrario ci sembra essere una conferma tutt’altro che insignificante di un contesto sociale che sta cambiando, che forse è già cambiato. Siamo costretti a convivere con le diversità. E se l’utilizzo del burkini o degli indumenti che lasciano liberi solo faccia (a volte nemmeno quella), mani e piedi, ha sullo sfondo un serio discorso ideologico, di sicuro ha in primo piano un problema igienico. Domanda: se per entrare in una piscina devo preventivamente fare la doccia, magari insaponarmi e indossare la cuffia, qual è la regola per le donne che vi accedono vestite? La domanda è stata posta a più riprese, a Busto Arsizio per bocca di una signora che ha sollevato la questione attraverso Malpensa24 e in moltissime altre città proprio durante l’estate.

Il punto è anche politico. Se sei di sinistra devi favorire l’integrazione e accettare il burkini, magari anche il burqa, l’hijab, il chador e tutte le altre componenti islamiche dell’abbigliamento femminile, se sei di destra devi essere contrario. Naturalmente stiamo semplificando, ma neanche tanto. Il dibattito è apertissimo, mette in luce la crescita della società multietnica, alla quale siamo, volenti oppure no, destinati. L’immigrazione va gestita, non c’è dubbio (non possiamo accogliere tutti), ma è inarrestabile, se non con l’uso di mezzi che contrasterebbero clamorosamente con il discorso di Mattarella, venerdì a Rimini, e con i più elementari diritti umani. E c’è chi paventa il rischio dell’islamizzazione del nostro Paese. Esagera? Non si può definire oscurantista, intollerante, nemico delle libertà chi pone il quesito e avverte che, anche attraverso l’utilizzo del burkini, c’è chi prova ad imporre i suoi usi e costumi. Se vivi in un paese che non è il tuo, in un certo qual modo devi adeguarti. Non può essere il contrario.

La questione è più complessa di come appare, va oltre la libertà di vestirsi come meglio si crede. Chiama in causa le imposizioni della società e della religione islamica: davvero le donne musulmane sono contente di prendere il bagno vestite? O, più facilmente, vi sono costrette? Qualche giorno fa, in uno storico stabilimento balneare di Trieste, una cinquantina di signore italiane si sono immerse in mare vestite, a sostegno delle musulmane criticate per l’utilizzo del burkini. Qualcuno ha chiesto se il burkini è frutto di autodeterminazione o se, anche coloro che ne rivendicano la libera scelta, in verità sono vittime di un’imposizione? Come per il burqa, che tra l’altro pone un problema di riconoscibilità. Anche in questo caso: se per un comprensibile motivo di sicurezza non posso entrare in un locale pubblico, tanto meno in una banca, con il casco da motociclista, perché vi posso entrare con un copricapo che lascia liberi soltanto gli occhi?

Nel frattempo si moltiplicano le prese di posizione contro il burkini, Ne ricordiamo una su tutte, che vede protagonista la sindachessa di Monfalcone, Anna Maria Cisin, che fin dal mese di luglio dichiarò: “La pratica di accedere sull’arenile e in acqua con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno deve cessare”. Fu l’inizio del dibattito. E di una serie di articoli sui media (ne scrisse anche il nostro opinionista Gian Franco Bottini) che hanno messo in primo piano il problema. Che non si esaurisce di sicuro con una protesta, una manifestazione a favore, un articolo pro o contro. Ma richiede approfondimenti scevri da una controproducente islamofobia quanto da una adesione a priori verso situazioni che, in alcuni casi, sembrano quasi una provocazione.

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