Petrone ritratta in aula. Fuori dall’aula: «Volevo “far fuori” Caianiello». Politicamente

Petrone mentre depone in aula

MILANO – «Non sapevo del sistema di retrocessione di Caianiello. Non sapevo niente di decime o tangenti. Non ho mai intascato un euro. Questa è la verità». Ha preso le distanze da quanto aveva dichiarato in interrogatorio ai Pm l’ex assessore all’Urbanistica di Gallarate Alessandro Petrone, sentito in aula oggi, lunedì 10 ottobre, durante l’udienza del processo Mensa dei poveri.

Non sapevo niente

Petrone ha già patteggiato una pena a due anni per corruzione. E’ fuori dal dibattimento in corso, tuttavia davanti ai giudici ha tentato di riabilitare la sua immagine: «Oggi ho detto la verità – ha spiegato – Non sapevo della presunta tangente per la realizzazione di un Tigros in via Cadore. Mi fu riferito da un ragazzo che conosco e che è amico del figlio di Tonetti (il proprietario dell’area). Chiesi conto a Caianiello (Nino Caianiello, l’ex Ras di Forza Italia a Varese arrestato nel maggio 2019) e a Bilardo (Alberto Bilardo, all’epoca coordinatore cittadino di Forza Italia): mi risposero che non c’era nessuna tangente. In caso contrario mi sarei immediatamente dimesso e avrei denunciato tutto ai carabinieri». Molte della dichiarazioni rese oggi da Petrone stridono con quanto da lui stesso affermato in sede di interrogatorio durante la fase d’indagine.

Rischio falsa testimonianza?

Tanto che l’esame dei pubblici ministeri Silvia Bonardi e Stefano Civardi è andato avanti a suon di contestazioni. Una dopo l’altra, sino ad arrivare alla frase rivolta al collegio presieduto dal giudice Paolo Guidi: «Valuterà poi la corte se siano stati commessi degli illeciti». Tradotto: la procura valuterà alla fine del processo se chiedere alla corte il rinvio degli atti per falsa testimonianza. Lo stesso presidente Guidi ha ricordato a Petrone che era in aula come teste sotto giuramento e non come imputato.

Avrei denunciato

Petrone si è raccontato come «non allineato» al presunto sistema. E alle contestazioni su quanto dichiarato in interrogatorio sulle pressioni all’ufficio tecnico per la variante al Pgt (che secondo l’accusa Caianiello e Paolo Orrigoni, ex patron Tigros, volevano puntuale per accelerare i tempi in cambio di una mazzetta da 30mila euro) ha replicato: «Ero tentato dalla variante puntuale perché per il Comune rappresentava un affare (in termini di oneri di urbanizzazione) e io volevo solo il bene della città. Ma poi ho valutato quella generale perché gli uffici erano oberati di lavoro e sotto organico». Alla variante puntuale, stando a quanto emerso sinora dalle indagini e anche dal processo, ad opporsi era il sindaco di Gallarate Andrea Cassani. La difesa di Orrigoni ha ricordato che anche in sede di interrogatorio Petrone ha affermato di non avere evidenze dirette del sistema corruttivo imputato a Caianiello, ma di aver sempre sentito delle voci “di paese”. A lui nessuno dei coindagati aveva detto niente: “evidentemente non si fidavano di me”, ha detto al Pm. Questo in risposta all’accusa che ha parlato di “minata attendibilità del teste”.

In carcere e sotto stress

L’ipotesi accusatoria, in effetti, non vede Petrone chiedere soldi, ma incarichi. Questo perché il suo lavoro da dipendente pubblico come presidente della Commissione tributaria di Lodi era incompatibile con il suo ruolo di assessore. «Spingevo sulla variante al Pgt per chiudere in fretta e togliermi da quella situazione. Avrei dovuto andare a lavorare fuori regione. Ma non ho mai chiesto niente a Caianiello». Altra contestazione del Pm che cita un’intercettazione ambientale segnalandola alla corte. A fronte dei “non so perché sia stata verbalizzata così questa dichiarazione”, e dei “ero in carcere privato della mia libertà in forte stato di stress, ho sostenuto le tesi di chi sosteneva l’accusa di corruzione”, la corte ha ricordato che i verbali contestati erano registrati e la procura si è detta pronta a mettere a disposizione del collegio anche tutti gli audio.

Obbedivamo ai vertici regionali e nazionali

A quel punto è stato il Pm Civardi a chiedere senza mezzi termini: «Ma perché lei allora ha patteggiato una pena a due anni per corruzione?». Fuori dall’aula Petrone ha poi spiegato che il patteggiamento non è un’ammissione di colpevolezza ma una scelta processuale. «Di concerto con i miei legali ho fatto questa scelta. Ho passato notti insonni, non volevo restare sotto processo magari per 7 o 8 anni, senza poter lavorare. Ho scelto di tirarmene fuori, tagliando ogni ponte con il passato e i miei ex compagni di partito». Le dichiarazioni rese in interrogatorio sono quelle che gli sono valse il riconoscimento da parte della procura dell’attenuante della collaborazione. Fondamentale per poter chiudere un patteggiamento. Petrone ha anche preso le distanze da Caianiello: «Millantava spesso per rafforzare la sua immagine di uomo di potere in provincia di Varese». Fuori dall’aula, incalzato dai giornalisti che chiedevano quale incarico politico pensava di meritare, Petrone ha risposto: «La verità è che io volevo fare fuori Caianiello (dal suo ruolo di referente di Forza Italia in provincia di Varese) perché non era l’uomo giusto al posto giusto. Trovai inopportuno che conservasse questo ruolo anche dopo la condanna definitiva a tre anni per corruzione in altra vicenda. Ma noi (forzisti) ci relazionavamo con lui perché i vertici regionali e nazionali del partito avevano indicato lui quale interlocutore».

Tonetti inguaia Orrigoni

In aula oggi è stato ascoltato anche l’imprenditore gallaratese Pier Tonetti, proprietario dell’area di via Cadore oggetto della presunta tangente da 30 mila euro e in odor di variante puntuale del Pgt, che ha sostanzialmente confermato le accuse mosse a Orrigoni dichiarando che era stato il promotore «dell’operazione di lobby perché doveva realizzare il supermercato in sei mesi. Non ho mai capito perché dovesse fare così in fretta». Questo in replica alla domanda della difesa di Tigros sul perché Orrigoni avrebbe dovuto pagare una mazzetta su un’area che, nella parte di suo interesse, era già commerciale.

Petrone succube di Caianiello

Sul banco anche l’avvocato Stefano Besani al quale, non a caso dopo quanto accaduto nelle tre ore e mezzo di esame di Petrone, l’accusa ha chiesto quali rapporti vi fossero tra l’ex assessore e Caianiello: «Caianiello non lo stimava. Non lo considerava particolarmente brillante. Petrone era succube di Caianiello, lo subiva psicologicamente. L’ho detto anche al Pm: ci parli: è un brav’uomo che si è trovato a dover gestire una situazione che non era in grado di gestire».

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