Salvini e l’erba scivolosa di Pontida

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Domenica a Pontida tradizionale raduno della "nuova" Lega

di Massimo Lodi

Pontida significò, all’avvio di raduni poi divenuti storici, libertà dei popoli. Fu il mantra, la parola d’ordine, l’inno di Bossi. E dei suoi accoliti dell’ora iniziale, Leoni specialmente. Umberto Bossi e Giuseppe Leoni entrarono da protoleghisti in Parlamento, uno al Senato e l’altro alla Camera. Portarono aria nuova, pur se tra scetticismo e ironie, critiche e marginalizzazioni. Li tennero in considerazione di barbari sognanti, come in seguito annotò uno che, fidatissimo compagno d’avventura, verniciava di verde autonomista i muri del Varesotto: Roberto Maroni.

L’idea di Pontida nacque per celebrare il giuramento, anno 1167, d’alcuni comuni nordisti contro il Barbarossa. L’ispirò il federalismo, un insieme di tante anime/identità in avversione al potere centrale/vessatorio. Bossi riempì di questo contenuto politico una manifestazione, l’adunata pop-folk sul pratone bergamasco, nata in replica locale e ridotta di quant’era capitato nell’89 a Santiago di Compostela. Lì si svolse per la prima volta la Giornata mondiale della gioventù, presente Giovanni Paolo II, e in seicentomila s’accalcarono su una spianata a pregare col Papa. Confidò l’Umberto al Giuseppe: dobbiamo fare qualcosa di simile anche noi, qui, subito. E dal proposito passò all’attuazione.

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Massimo Lodi

Il Giuseppe, cioè Leoni, oggi reclama il ritorno morale a quel sentimento d’indipendenza, autodeterminazione, sovranità periferica/popolare. Che significa, riassumendo e immaginificamente, la presa di distanza da ogni potere oppressivo. Dal fascismo, per esempio. E invece l’attuale segretario d’una Lega che deve i natali all’Umberto visionario, al Giuseppe suo alter ego, al Roberto generoso attacchino, cosa fa? Chiama a Pontida l’icona del fascismo contemporaneo, la Marine Le Pen con la quale ben si guarda dall’intrattenere rapporti amicali, e insiste in distinguo ideologico-politici, perfino Giorgia Meloni. Ma è proprio in un tale solco che vuole infilarsi Salvini: occupare lo spazio del radicalismo di destra allo scopo di sottrarre consenso alla premier, in vista delle elezioni europee 2024.

Vale la pena deformare il profilo antico d’un partito allo scopo di renderlo (nelle intenzioni: solo nelle intenzioni) più competitivo sul mercato elettorale d’oggi? Non vale, assolutamente non vale dice Leoni. Lanciando l’appello: “Rappropriamoci di Pontida”. È un monito che accomuna i leghisti lombardi ai veneti, i due nuclei originari del movimento diventato nel ’94 l’ala innovativa del progetto post democristiano, post liberale, post socialista di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere sdoganò il fascismo, mai però si sarebbe immaginato di “ridoganarlo”, come pensa di fare Salvini, in ansia da concorrenza rispetto alla Meloni. Non è questo il sussulto atteso/sperato da quella parte di società civile e produttiva che diede molta corda al Capitano e non vuole farsene imprigionare le mani. Le sembra una roba che non sta in piedi, tanto più sull’erba di Pontida, spesso risultata scivolosa ai dissacratori.

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