Varese Archeofilm, dopo Stonehenge racconta Pompei e la minaccia del Vesuvio

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VARESE – Dopo essere apparsi nel documentario “Mostri e miti” come portatori di oro e generatori di leggende su creature fantastiche, i vulcani sono tornati ieri sera, venerdì 5 settembre, nel secondo appuntamento del festival Varese Archeofilm, in una veste ben più cupa, quella della minaccia costante rappresentata dal Vesuvio e dai più pericolosi Campi Flegrei. L’apertura della serata è stata invece riservata al complesso monumentale di Stonehenge e ai misteri che ne circondano le origini e lo scopo.

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I festeggiamenti per il solstizio d’inverno

Come emerso dalle scoperte dell’archeologo Mike Person, e illustrate in “Stonehenge bringing back the dead”, il sito megalitico era probabilmente il punto di raduno più importante del Neolitico. Vi giungevano genti da tutta l’antica Britannia portando con loro capi di bestiame da consumare, così come oggi si porta una bottiglia di vino a una cena di amici: lo studio degli isotopi chimici sui resti ossei ha evidenziato come gli animali venissero macellati per gli enormi festeggiamenti del solstizio d’inverno, evento comunitario che spingeva a mettersi in viaggio anche dalla Scozia e dalle isole Orcadi. Il successo di Stonehenge cessò, con l’avvento delle popolazioni appartenenti alla cultura Beaker, più individualista e legata ai metalli.

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La fonte primaria sul nostro passato

Introdotto da Davide Castiglioni, organizzatore di Varese Archeofilm, l’antropologo e paleopatologo dell’Università dell’Insubria Omar Larentis ha dialogato con Dario di Blasi, direttore artistico del festival, ripercorrendo la nascita della bioarcheologia esvelando alcuni particolari del suo mestiere: «Ho scelto di passare dallo studio dei materiali litici a quelli ossei perché raccontano meglio la storia e la società, per il nostro passato sono la fonte primaria da interrogare». Tra le informazioni che possono fornire c’è la differenza tra le credenze religiose delle diverse culture, come nel caso di quella di Golasecca: «Per i loro defunti compivano rituali di cremazione: usando il calore del fuoco come forme di purificazione, attuavano una forma di culto solare».

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Controllare il supervulcano con il rumore del mare

A concludere la serata è stato “La prossima Pompei”: dopo aver presentato un’accurata ricostruzione dell’eruzione del Vesuvio, descritta da Plinio il Giovane, che nel 79 a.C. colpì la città romana, il documentario ha mostrato come i vicini Campi Flegrei nascondano a loro volta un altro vulcano attivo, nella struttura a forma collassata su se stessa della caldera e, come hanno dimostrato gli studi del sottosuolo di Napoli, dalla potenza dieci volte più devastante. Sono stati anche illustrati i diversi metodi predisposti per gestire una minaccia di fronte alla quale, per salvare vite, non c’è altra soluzione che l’evacuazione. Il sismologo Luca De Siena ha spiegato come si possano prevedere le mosse del supervulcano con un metodo di monitoraggio che si serve delle onde sonore create da quelle marine che si infrangono sulla costa: nel momento in cui si propagano sottoterra, possono rilevare le sacche dove si nasconde il magma più pericoloso.

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