Riflessi di speranza dopo il disastro: a Varese il teatro civile di Ortis sul Vajont

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Andrea Ortis

VARESE – In occasione dell’anniversario dei sessant’anni della tragedia che colpì il Vajont il 9 ottobre 1963, la MIC – International Company, in coproduzione con il Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia e in collaborazione con Compagnia della Rancia, porta in scena “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza”, pièce teatrale scritta, diretta e interpretata da Andrea Ortis, autore, attore e regista friulano. Lo spettacolo, in programma domani, venerdì 10 novembre, alle 21 al Teatro di Varese, si snoda su due binari narrativi paralleli ma dai diversi punti di contatto, che per l’intero svolgersi del racconto si sovrappongono, scambiano e alternano pur mantenendo connotati identitari e riconoscibili. Da una parte si assiste a un dettagliato racconto, più attuale che mai, della catastrofe ambientale, dall’altro dello scenario storico del secondo dopoguerra, con particolare riferimento per gli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta.

Il ritratto di un’Italia che vuole rialzarsi e la ricostruzione della tragedia

Si tratta di un vero e proprio viaggio nell’umanità italiana del periodo, all’interno della civiltà contadina di provincia, nelle radici dialettali e popolari del nostro Paese, nell’incredibile varietà di tradizioni e usi che rappresentano un patrimonio ancor oggi inestinguibile e straordinario. Il ritratto di un’Italia che vuole rialzarsi dopo lo sfacelo delle guerre mondiali: l’Italia che inventa, che scopre, che sperimenta, l’Italia delle grandi opere civili che, in meno di vent’anni, ricostruisce sé stessa e parte del proprio futuro. Dall’altra “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” presenta la reale ricostruzione degli accadimenti processuali relativi alla tragedia che colpì il 9 ottobre 1963 la terra a confine tra la provincia di Belluno e quella, al tempo, di Udine, (oggi Pordenone) conosciuta come il disastro del Vajont.

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La violenza dell’uomo nei confronti dell’ambiente

“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” nella forma espressiva del teatro di narrazione, rende attuale un racconto che, pur parte di un recente passato, dichiara tutta la sua triste attualità nel malaffare e nell’avidità dell’uomo. L’ottuso conseguimento di un crescente profitto, la lontananza dalle regole e da ogni genere di attenzione alla sicurezza, l’ingordigia di pochi a scapito di molti, le pericolose combine tra impresa e politica sono elementi purtroppo, comuni a tutte le maggiori tragedie che hanno colpito il nostro Paese.
Così questo racconto, nel suo incedere, diventa il racconto di Sarno, Ustica, Viareggio, fino alle tristi vicende di San Giuliano di Puglia, Amatrice, L’Aquila, Rigopiano, le più recenti alluvioni delle Marche e dell’Emilia Romagna. Il comune denominatore è l’uomo e la sua violenza nei confronti dell’ambiente, la sua scientifica aggressione alla natura; l’uomo che disbosca, che crea bacini artificiali, l’uomo che cementifica e costruisce abusivamente, l’uomo che edifica senza regole, l’uomo che calpesta tutto e tutti, lanciato alla ricerca di un profitto crescente e di un potere migliore.

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Fermarsi o andare avanti?

Il desiderio di riscatto e di facili guadagni, la bramosia avida di tecnici e imprenditori, il poco controllo dello Stato, spesso connivente con i poteri forti del tempo, portano alla tragedia del 1963 in cui oltre duemila vittime innocenti hanno perso la vita. “Il Vajont di tutti, riflessi di speranza” attraversa in tal senso, in maniera biunivoca, il respiro di un mondo, nello scorcio storico del secondo dopoguerra, che sta accelerando, una vera e propria rivoluzione industriale, tecnologica, culturale e antropologica e, nel farlo, si dimentica completamente dell’uomo e della sua sicurezza. Soprattutto si dimentica dell’umanità di provincia, delle comunità rurali, delle categorie anziane che, di fatto e ancor oggi, sono il patrimonio più caratterizzante e di valore del nostro Paese Italia.
Lo spettacolo è, in tal senso, anche una storia di speranza e forza, il racconto della dignità di chi decide di andare avanti, di credere alla ricostruzione mantenendo viva la memoria, la storia dell’orgoglio della gente d’Italia, operosa, il cui concetto di comunità è il tessuto vitale sul quale, fortunatamente, si può ancora sperare. Ogni essere umano, nel racconto della propria vita ha, prima o poi, a che fare con il dolore, qualunque esso sia. È in quell’attimo che si può scegliere: fermarsi o andare avanti? La storia del Vajont è la storia di tutti.

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«A soccombere è l’uomo con tutta la sua umanità»

«Ognuno ha il “suo” dolore», ha annotato Ortis. «La storia del nostro Paese è piena di vicende non risolte, nascoste, occultate; storie senza pace e senza giustizia, in cui a rimetterci sono gli ultimi, la gente comune. E a soccombere è l’uomo con tutta la sua umanità. A volte è proprio questo dolore che crea partecipazione e, quasi inspiegabilmente, unisce tutti, in una comunità allargata, solidale, stimolata da fatti che, più di altri, ci colpiscono e ci chiamano in causa.
Dissesto idrogeologico, domanda di energia e abusi edilizi sono temi della contemporaneità, intrecciati a un passato dalle cui dinamiche, che continuano a scuoterci riproponendosi nel presente, non possiamo distogliere lo sguardo. Ognuno ha il “suo” dolore: ecco perché la storia del Vajont è la storia di tutti, un monito attualissimo che parla alle nostre coscienze, richiamandoci al ruolo di ospiti in questo pianeta, non di padroni. Solo riconoscendo i nostri limiti e i nostri errori, solo presentando la verità possiamo immaginare una ripartenza che si fondi sulla capacità dell’uomo di credere in un bene comune, che coinvolga in una dimensione più ampia, corale, parti di un Paese nel quale poterci sentire “pubblico” e “attori principali”. Ognuno ha il “suo” dolore. “Il Vajont”, nella storia delle mie origini friulane, è il mio».

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Un viaggio nel tempo avvincente e carico di tensione

Il narratore (Andrea Ortis) conduce il pubblico in una sorta di viaggio nel tempo, avvincente e carico di tensione. Il suo racconto è intervallato dalla presenza in scena di due ambienti differenti: lo studio dell’ingegnere Carlo Semenza, responsabile del dipartimento di idraulica della Sade e progettista della diga del Vajont, e la casa di Tina Merlin, unica giornalista dell’epoca a lottare strenuamente a fianco delle popolazioni montane deboli e, assolutamente, calpestate nei diritti. Il narratore entra ed esce, raccontando lo scenario storico del secondo dopoguerra, le dinamiche geopolitiche della rinascita, la rivoluzione musicale e di costume, quella tecnologica e civile.
Una serie di proiezioni animate diventa un supporto storico-documentale di assoluto valore, sia esso riferito alla narrazione dello spaccato storico degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta con l’immaginifico di tutti i più grandi accadimenti del tempo, dei più importanti personaggi del periodo, sia esso riferito agli accadimenti relativi alla tragedia del Vajont. Si assiste all’alternarsi tra passaggi narrati e momenti in cui Carlo Semenza e Tina Merlin, grazie all’intervento di due attori, svolgono la loro azione scenica in una sorta di flashback temporale riportando ai fatti dell’accaduto, ricostruiti nel dettaglio del processo e delle sentenze definitive. Lo spettacolo, che si avvale del sostegno della Regione Friuli, è stato realizzato con il patrocinio del Comune di Longarone, del Comune di Erto e Casso, della fondazione “Vajont 9 ottobre 1963” e dell’Associazione Culturale Tina Merlin.

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