VISTO&RIVISTO Jeanne du Barry: aridatece la ghigliottina

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di Andrea Minchella

VISTO

JEANNE DU BARRY- LA FAVORITA DEL RE, di Maiwenn (Jeanne du Barry, Francia- Belgio- Regno Unito 2023, 113 min.).

Egocentrico e noioso. Pretenzioso e insoddisfacente. La brava Maiwenn non riesce più a centrare un obbiettivo da quando, nel 2011, realizzò un vero e proprio capolavoro con “Polisse”. Da quel momento la camaleontica attrice, sceneggiatrice, regista ed artista francese non è più stata in grado di regalarci qualcosa che valesse davvero la pena guardare. Anche “Mon Roi” del 2015 sembrò più uno sfogo ossessivo/sentimentale che una pellicola in grado di cristallizzare una storia malata, i suoi personaggi e l’angosciante discesa verso gli inferi dell’amore. Quel film con un Vincent Cassel a tratti diabolico, seppur interessante e fresco nel linguaggio e nello stile, fu tutto sommato un’occasione persa.

Con “Juan du Berry” la regista decide di raccontare, e raccontarsi, la storia di una donna legata a doppio filo con lo spietato mondo del potere e con l’amore nascosto. L’idea di realizzare un ritratto su una donna tanto complessa quanto enigmatica è difficile perché la possibilità di cadere nella retorica dello sfarzo e nella banalità degli stereotipi è sempre altissima. A differenza del lavoro innovativo e straordinario che Sofia Coppola fece per il suo “Maria Antonietta”, ribaltando completamente il linguaggio e la grammatica che si utilizzano per un film in costume, la regista francese rimane intrappolata, forse volontariamente, nella gabbia dell’ovvietà e delle scorciatoie stilistiche, e decide di raccontare una vicenda emblematica e carica di significato staccandosi completamente dalla verità e dalla ricostruzione storica per regalarci un’edulcorata e fantasiosa versione di un pezzo di storia francese e dei suoi protagonisti.

La sceneggiatura viene scritta con i canoni moderni e strettamente cinematografici tanto da trasformare il racconto in una sorta di farsa leggera e piena di “gag” che hanno l’unico obbiettivo di far ridacchiare il pubblico, molto variegato, accorso un po’ per Jonny Depp, un po’ per ammirare Versailles, un po’ perché questa settimana il biglietto del cinema costava tre euro e cinquanta. Molti avranno apprezzato il tema leggero, la semplificazione della storia, la plastificazione dei personaggi, l’appiattimento delle battute e la semplicità del montaggio. Pochi, credo, avranno trovato questo lavoro come un ennesimo tentativo di stravolgere un racconto interessante e molto suggestivo a favore di una narrazione banale e facilmente consumabile dalla massa sempre più intenta a divorare prodotti semplici e semplificati più tosto che a fare i conti con ritratti sinceri e magari brutali e dolorosi. Come se il politicamente corretto avesse contagiato ogni cosa, anche questa pellicola paga il prezzo di voler raccontare una fiaba nel modo in cui chi ascolta vuole che sia raccontata. Il pubblico e i suoi desideri sono soddisfatti ancora prima che la pellicola comincia a girare.

La brava e attenta Maiwenn chiama a corte, la sua, lo scapestrato Johnny Depp, lo fa recitare in francese, e lo getta in pasto del pubblico ancora frastornato dal processo dell’anno Depp/Head. Il risultato commerciale è senza dubbio azzeccato. L’appesantito Depp e la Bellissima Maiwenn incarnano il desiderio della maggior parte delle persone che vanno a vedere questo film. Maiwenn, tra le righe, ci mette a conoscenza del suo rapporto scandaloso e travolgente che ebbe giovanissima con il gigante del cinema francese Luc Besson. Infatti della vicenda vera della favorita e di Luigi XV, nel film, c’è molto poco. C’è molto di un amore complicato tra due mondi lontani e diversi tra loro. Come fu quello tra una bambina Maiwenn e un adulto Besson. Se il regista francese, pare, abbia parlato del suo rapporto con la giovanissima attrice nel meraviglioso “Leon”, Maiwenn ha deciso di esorcizzare la sua difficile relazione in questo affresco poco convincente su una Versailles in procinto di cadere definitivamente sotto il vento violento della rivoluzione.

Si salvano le belle sequenze finemente costruite e realizzate nelle gigantesche stanze di un palazzo reale incantevole che ha saputo sopravvivere alle umane e spesso misere vicende di chi ci ha vissuto.

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RIVISTO

PRETTY WOMAN, di Garry Marshall (Stati Uniti 1990, 119 min.).

Una favola universale che ha addolcito una generazione intera. Roberts e Gere diventano un’icona intramontabile di una terra in cui ogni desiderio può diventare reale.

Magico e travolgente, il film diventa una pietra miliare del cinema di tutti i tempi. Grammatica immortale di un cinema che fa evadere anche i più pragmatici.

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