Fukushima, dieci anni dal disastro

GIAPPONE: IL PUNTO DOPO LO TSUNAMI CHE PROVOCO' IL PIU' GRAVE INCIDENTE NUCLEARE DELLA STORIA

di Davide Agnesi

Sono passati dieci anni da quel terribile 11 marzo 2011 quando, in Giappone, si è verificato il più grave incidente nucleare dai tempi di quello di Chernobyl del 1986. Era una giornata normale per gli abitanti della prefettura di Fukushima, nel nord della più grande isola giapponese, quando, alle 14.40 a 30 km sotto l’Oceano Pacifico, si è generato il più grande terremoto mai registrato nel paese del Sol Levante, addirittura di magnitudo 9, così potente da aver spostato l’asse terrestre di ben 17 centimetri.

Per renderci conto di quanto distruttivo sia stato questo sisma basti pensare che i terremoti che hanno distrutto l’Aquila e Amatrice sono stati “solo” di magnitudo 6.

La centrale nucleare di Fukushima “Dai-Ichi”, nonostante fosse stata progettata per sopravvivere a un sisma al massimo di 8.2, ha resistito bene al terremoto e, in osservanza dei protocolli di sicurezza, tutti i reattori sono stati spenti. Quello che ha dato il via al vero disastro nucleare è stato il maremoto successivo alla scossa. Il sisma ha infatti causato uno tsunami con onde che hanno raggiunto la velocità di 750 km/h e un’altezza di oltre 10 metri, alzatesi poi a 20- 30 metri una volta raggiunta la costa portando con sé morte e distruzione; si conta che le vittime del terremoto e delle terrificanti onde abbattutesi sull’isola siano oltre 15 mila a cui si aggiungono diecimila tra dispersi e feriti.

La centrale era stata progettata per fronteggiare un maremoto di intensità decisamente inferiore, con muraglioni alti 5 metri, pari circa una palazzina a due piani, che ovviamente non poterono nulla contro le mega-onde di quel giorno. Il maremoto ha allagato, quindi, la centrale distruggendo i generatori diesel che raffreddavano i reattori, così i noccioli si sono surriscaldati sempre di più causando l’aumento del vapore e dell’idrogeno presenti nel reattore stesso, e facendo schizzare la pressione alle stelle.

A quel punto i tecnici, nel tentativo di diminuire la pressione, hanno tentato di far sfogare all’esterno il vapore e l’idrogeno in eccesso. Sfortunatamente questa procedura, a causa dell’alta infiammabilità dell’idrogeno, ha causato delle esplosioni che hanno messo in moto una catena di eventi provocando la fusione di ben 3 reattori e la successiva fuga di iodio, cesio e cobalto radioattivi.

Il guaio non sono state tanto le fusioni e le esplosioni ma la fuoriuscita di acqua radioattiva che ha raggiunto le falde idriche contaminando terreni ed acque: livelli alti di cesio sono stati rilevati nell’oceano, anche a grandi distanze dal Giappone. Per questo motivo al disastro di Fukushima è stato assegnato il settimo grado, il più alto in ordine di importanza, nella scala INES, che classifica gli incidenti nucleari, assieme solo a quello di Chernobyl.

Fortunatamente, al contrario di quanto accaduto in Ucraina, a Fukushima è stato rilasciato prevalentemente Cesio 137 che ha un tempo di decadimento di circa 30 anni, ragione per la quale, dopo tale periodo, la radioattività presente nella zona non rappresenterà più un pericolo per la salute. Il governo giapponese, subito dopo i fatti, ha definito un perimetro di sicurezza di 20 km di raggio attorno all’impianto nucleare e ha iniziato un programma di decontaminazione che si sarebbe sviluppato in tre fasi: nello stesso 2011 sono stati fermati tutti i reattori dell’impianto e,  per prevenire nuove emissioni di radioattività, si è provveduto a pompare acqua per raffreddare i noccioli. Dal 2013 ad oggi, e fino al 2023, si è proceduto e si procederà alla rimozione del combustibile nucleare ancora presente nei reattori  con l’ausilio di robot. A partire dal 2021 è prevista la rimozione dei detriti, la fase più lunga e delicata, che dovrebbe durare almeno altri 10 anni, probabilmente di più a causa dei ritardi legati alla pandemia di Covid-19.

Oltre però alla decontaminazione dell’impianto, il problema principale resta lo smaltimento della grande quantità di acqua usata per raffreddare i reattori la quale, conseguentemente, è diventata radioattiva. Questa viene assorbita da una pompa che elimina la maggior parte degli isotopi radioattivi eccetto il trizio, un isotopo radioattivo praticamente inerte che ha un tempo di decadimento relativamente breve; quest’acqua, ancora leggermente contaminata, viene poi conservata in cisterne. Peccato che i serbatoi di stoccaggio siano solo mille e saranno completamente pieni entro la fine del prossimo anno, quindi è necessario prevedere come smaltire questa enorme massa d’acqua. A tale proposito, il Governo ha proposto di disperderla nell’aria o nell’oceano, ma tale decisione ha incontrato ovviamente forti resistenze da parte delle comunità di pescatori ed agricoltori preoccupati per le conseguenze sull’ambiente. Quel che è certo è che siamo solo all’inizio del lungo processo di decontaminazione, rallentato oltre a tutto anche dalla pandemia e dai sismi che regolarmente colpiscono il Giappone, ma lentamente si sta tornando alla normalità rientrando nelle zone fino ad ora inaccessibili.

GIAPPONE