Baby Gang: sciopero della fame in carcere a Busto. Falsi miti e cattivi maestri

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BUSTO ARSIZIO – Lo sciopero della fame per protestare contro “la censura e l’ingiusta detenzione”. Così il trapper “Baby Gang”, nome d’arte del 22 enne Zaccaria Mouhib, nei giorni scorsi ha annunciato il suo rientro in carcere a Busto Arsizio, scattato dopo la revoca dei domiciliari che gli erano stati concessi, per averne violato i termini, secondo la Corte D’Appello di Milano. Questa è la notizia. Ed ora a migliaia si stracciano le vesti sui social media, accusando il “sistema” di voler togliere voce a un artista che svetta in classifica (ed è vero), senza considerare che quanto lo avrebbe ricondotto in carcere sia stato postato sui suoi account social “non da lui direttamente ma dal suo entourage”, ergo non sarebbe colpa sua. Qualcuno si è mai posto seriamente il problema del modello che questo tipo di “arte” stia trasmettendo? Soprattutto, qualcuno si è domandato chi davvero ci guadagna in tutto ciò?

In posa con una pistola

Parliamo di questi contenuti che gli sono costati la libertà, che lo vedono in posa con in mano una pistola (giocattolo), che punta verso l’obiettivo con il braccialetto elettronico in primo piano. Un’immagine chiara, diretta: “mi hanno beccato, ma io continuo a fare quello che mi pare”, ecco cosa dice quella foto. Lui che non è in carcere per un errore giudiziario, per essersi fatto scivolare inavvertitamente una bottiglia di profumo al Duty Free dell’aeroporto, ma che dopo una condanna a 5 anni e due mesi per la sparatoria di via Tocqueville a Milano (con due feriti) e a 4 anni e 10 mesi per rapine, è stato riarrestato per aver sparato addosso a un conoscente con una pistola a piombini, forse prima di parlare di censura dovrebbe farsi due domande. Mi pare di capire che tra lui e i suoi collaboratori non vi sia alcuna intenzione di cambiare strada e registro, ma di continuare sulla scia del “dannato costretto in catene”, che in certi ambienti tira più di una Chanel lanciata nel giorno dei saldi in mezzo alla folla del centro commerciale. Bro, non ci siamo. 

Chi ci guadagna

“Le armi sono state autorizzate per la promozione del suo recente disco”, dice il suo “entourage”. Chi le avrebbe autorizzate esattamente? Un interrogativo del quale ho quasi paura a chiedere riscontro… Travestirsi da bullo criptico, controverso, con catenazza dorata al collo e pistola in pugno, passa un messaggio ben preciso ai ragazzini, e se chi sbaglia (e pagherà le sue colpe) magari a 22 anni non lo comprende, dovrebbero comprenderlo coloro che lo consigliano, rappresentano e che su di lui guadagnano e anche tanto. Qui volevo arrivare. Le case discografiche hanno una responsabilità in tutto ciò, ma nessuno sembra volerne parlare. Se un tuo artista, per quanto talentuoso sia, agisce da criminale e tu hai a cuore il suo interesse, dovresti fargli arrivare chiaro il messaggio: bello e dannato sì, ma se non ti dai una regolata hai finito. Non fargli postare una foto mentre è ai domiciliari con una pistola in mano. Spacciare disagio sotto forma di musica, tentando di giustificare testi e messaggi con la condizione sfortunata in cui un giovane cresce non è “raccontare uno spaccato di società”, è fare i soldi su un debole. Si, perché a quella età tutti (a torto o ragione) siamo arrabbiati con il mondo, con la società, con i genitori, ma se le persone che ci circondano sono animate da intenzioni sane, per quanto commerciali, e hanno davvero a cuore i nostri interessi, non è in certe direzioni che ci spingono.  Non promuovono testi che inneggiano al concetto stantio come una camomilla tiepida dimenticata dalla nonna in soffitta “meglio delinquente che agente”, che ostentano il possedere “un ferro” che ovviamente non ha nulla a che vedere con lo stiro, cantati da un giovane che si è convinto che vada bene vivere come fosse in un videogioco sui narcos colombiani, mentre chi ci guadagna sopra sorseggia un calice di Laurent-Perrier in Corso Como a Milano.

Le vere scelte coraggiose

Resta poi anche il libero arbitrio, che non va sottovalutato per non cadere nell’errore di guardare a questo 22 enne o altri, come una marionetta del vecchio Muppet Show, e la generalizzazione su un genere musicale che non va mai fatta, perché ci sono artisti giovani che ne hanno passate di tutti i colori e che però hanno fatto la scelta più difficile e coraggiosa. Uno tra tutti? Achille Lauro. Nato con la camicia e cresciuto solo per scelta insieme a suo fratello, tra brutta gente e brutti giri, ad un certo punto si è detto: “o cambio strada o divento un criminale”. Lo ha fatto e la sua musica è volata ovunque, fino a Sanremo e oltre. Lui ha vinto, tutto il resto è noia (senza cumbia).

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