Busto, la tenevano in vita per continuare a spillarle denaro. Il raggiro milionario

BUSTO ARSIZIO – «Non ti voglio dire quello che ho fatto per tenerla in vita. Broncodilatatori dei polmoni e cortisone in vena. Solo così non muore». È una delle conversazioni intercettate in cui l’infermiere arrestato per aver sottratto, con due complici, un milione di euro a due donne, raccontava i tentativi disperati per tenere in vita la madre, gravemente malata, di una delle due vittime del raggiro, allo scopo di poter continuare a “succhiarle” i soldi della pensione e i suoi beni. «Succede qualche imprevisto, non me lo fa più dopo».

Gli arrestati

L’infermiere, l’amico e l’architetto. Insieme per raggirare donne sole e fragili psicologicamente e spogliarle dei loro averi attraverso le «condotte manipolatorie» messe in luce dalle indagini e dalle intercettazioni. Oltre un milione di euro le cifre sottratte: una delle due vittime, di Busto Arsizio, è stata depredata tra il 2016 e il 2018 del patrimonio ereditato e attualmente vive in condizioni di indigenza, aiutata dai servizi sociali, mentre per l’altra, di Induno Olona, gli arresti hanno sventato ulteriori spoliazioni.

Gli arrestati sono tre: Gioacchino Fera, 53 anni, residente a Varese, infermiere che ha conosciuto le due (presunte) vittime nel prestare assistenza alle rispettive madri anziane e malate. Giuseppe Santuccione, residente a Cepagatti in provincia di Pescara e amico e confidente di una delle due vittime. E Andrea Luraschi, 34 anni, di Venegono Superiore, architetto a cui Fera affidava lavori di ristrutturazione e «fantomatici» progetti da finanziare con il denaro delle vittime, che però per le Fiamme Gialle erano «fittizi».

I tentativi di tenere in vita la madre

«Sto facendo il diavolo a quattro per non farla morire». Questa un’altra delle dichiarazioni carpite nelle intercettazioni tra l’infermiere e l’architetto. Secondo l’ordinanza che ha disposto gli arresti, Fera stava «tentando con ogni mezzo, anche attraverso l’adozione di strategie terapeutiche, che verosimilmente devono essere disposte da un medico e non già da un infermiere», di evitare il decesso della madre della vittima, circostanza che «avrebbe potuto costituire un ostacolo all’esecuzione del “progetto” pianificato da lui e dal Luraschi». La costruzione di una “fantomatica” casa di cura, con il denaro della vittima.

I bonifici

La molla su cui si fondava il raggiro era sentimentale. L’infermiere lo sa: «Quella me l’ha già detto: “se tu mi dici che non mi chiami più, io rinuncio a mangiare e muoio“». E al “socio” Luraschi confida: «Gli fai l’accortezza, le faccio mangiare la lasagna, la porto a prendere il gelato». Interrogata, la donna dichiara: «Ripongo totale fiducia in Gioacchino, al quale ho dato carta bianca». Tanto che l’uomo, dopo la morte della madre, convince la donna a disporre due bonifici urgenti da 100mila euro l’uno in suo favore, che la banca segnala come sospetti, ma anche a chiedere il riscatto di una polizza assicurativa da circa 300mila euro, e arriva persino a contattare un notaio per «far invalidare la clausola del testamento che destinava ad un ente benefico il proprio patrimonio al decesso della figlia».

Il primo raggiro

Nell’altro caso, la donna di Busto Arsizio era stata convinta a disfarsi dell’intero patrimonio immobiliare ereditato dal padre, un facoltoso imprenditore tessile: una casa in zona centrale a Busto e una a Forte dei Marmi, per un totale di 450mila euro, con la donna che non vede un euro dei proventi delle vendite e che si vede i conti corrente svuotati, con la scusa di eseguire lavori di ristrutturazione, fino ad essere «ridotta in povertà». E quando la donna riceve la convocazione della Guardia di Finanza, Fera le procura un certificato medico che per gli inquirenti è «falso» per rimandare l’appuntamento.

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