Diciotto anni: oggi come allora il mio cuore batte all’impazzata

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Eccoci qui, diciotto anni: oggi come allora il mio cuore batte all’impazzata. Ho riempito giorno dopo giorno le vostre valigie di tanti sogni, con tutta la forza che solo un figlio può dare a una mamma. Per iniziare oggi un lungo viaggio, vorrei che a riempirle di coraggio foste voi: sono strane energie che aiutano a prendere strade migliori perché il cammino possa essere pieno di fantasie, per conoscere mondi a noi ignoti.

C’è una cosa che spero vi teniate sempre stretta: si chiama dignità, unica grande amica che comunica sempre con la nostra coscienza. Con lei riuscirete sempre a mettere voi per prime: non si chiama egoismo, questa è un’altra cosa che spero non incontrerete mai. Ma se la dignità camminerà sempre a pari passo con voi, vedrete che ogni scelta che farete sarà sempre la migliore. Certo, non posso nascondervi che è quella che fa più male e l’esito non sarà sempre quello desiderato. Ma ne vale la pena, perché con lei la vostra persona sarà unica e non permetterete a nessuno di decidere per voi.
Un bel fiore non si calpesta ma si nutre ogni giorno; e per farlo bisogna conoscere l’indipendenza, altra grande amica. Non significa saper far tutto, ma semplicemente decidere di poter fare tutto. È uno dei motivi che mi hanno portato a lottare ogni giorno perché poteste portare a termine i vostri studi nonostante la vita mi remasse contro; con voi sempre per prime, perché foste il meglio e per offrirvi di più.

Prendete il tempo, tutto quello che avete, non solo per trascorrerlo ma per farne un capolavoro. Non siete delle figlie giunte per caso: siete la mia vita, cercate e volute. Certo, quando ho sentito che eravate due per un attimo mi sono persa. Il mondo tremava, pensavo: «Sarò in grado? Sarò all’altezza? Come dividerò l’ amore che ho dentro? Dovrò dividerlo per tre, e io sono solo una». Invece ho scoperto che era tanto immenso da poter dividere per tre tutto. Erik, Niky e Sarah, un esplosione di tutto: niente era impossibile.
Sul mio corpo ho disegnato dei passi: i nostri, i passi della vita. Poi ho sfumato il sole e la luna, che con grande difficoltà ho unito e fatto incontrare per cullarsi l’uno dentro l’altra. Perché quando eravate piccole e si avvicinava la sera vi dicevo sempre: «Chiudete gli occhi, immaginate il sole che piano piano va a dormire per dare spazio alla luna. Così stanotte ci cullerà con un filo di luce, in modo che il buio non vi metta paura». Lo chiamavo il miracolo più bello, perché il nostro letto era la casa più grande che avevamo, con il risveglio più rumoroso che ci fosse, alla ricerca del calzino, della scarpa, del vestitino. Sempre uguale fino a quando un giorno, guardandomi, mi avete detto: «Oh, Ma’: io sono Nicole e io Sarah, ognuna deve avere il suo vestito».

Che botta: i vostri caratteri cominciavano a formarsi, a dieci anni iniziavo a capirlo. Fino alla prima uscita, alla prima sigaretta, alla prima litigata: quanta ribellione usciva dalla vostra bocca, quante lacrime versate. Perché non capivo se era normale, se era odio o semplicemente stavate crescendo e io non ero pronta. Non è facile non avere a fianco un uomo su cui poter contare, parlare e decidere insieme: quel mondo era tutto sulle mie spalle e dovevo andare avanti. Ma c’ero, c’ero sempre. Non era un contratto: nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte ero la mamma. Mi sentivo e mi sento la vostra mamma, non da oggi, non dopo, non nei momenti di pausa ma dal giorno nel quale mi hanno detto: «Sono due». Il mio respiro era il vostro, il mio cibo era il vostro, la mia pelle vi scaldava e nessuno, dico nessuno, nonostante tutto, mi ha tolto la possibilità di essere sempre lì con voi.
Vi ho dato la possibilità di camminare da sole, anche quando forse dovevo dire di no. Perché ero lì in silenzio a osservare, a guardare perché potessi raccogliere ogni singola lacrima e trasformarla in sorriso. Anche quando vi rappresentavo il male ero lì a incassare il vostro malessere. Per ogni singola parola che mi spaccava il cuore io c’ero, proprio come oggi sono qui a festeggiare i vostri diciotto anni. Sono qui a godermi lo spettacolo di nuove ali che vi faranno prendere il volo verso una nuova indipendenza: la vostra vita, la stessa che diciotto anni fa vi ho dato quando dopo il taglio del cordone vi ho insegnato a nutrirvi in un altro modo.

È arrivato il momento che io mi sieda per brindare alla vostra maggiore età perché quel “doc” l’11 giugno, guardandomi, mi ha detto: «Sono perfette! Le vuole vedere subito o dopo il bagnetto?». Subito: non potevo aspettare, avevo bisogno di sentire il vostro odore per poterlo vivere, guardare le vostre manine e piedini che per nove mesi hanno ballato e giocato dentro di me seguendo le mie mani.
No, non potevo aspettare. La vita con noi non è stata sempre gentile. Ma ricordate: il genitore è chi fa il genitore. E questa non è una colpa, anzi: siamo sopravvissute a ogni singola tempesta. Non eravate voi l’errore o le bimbe sbagliate: lo sbaglio è stato mio a non aver capito in tempo. Ma pensate, da quel non aver capito abbastanza, cosa è diventata la mia e la vostra vita oggi: lui ha perso, noi abbiamo vinto.
Che dirvi, figlie mie? Oggi neanche un libro che raccontasse la nostra storia avrebbe l’ultima parola, perché ora tocca a voi continuare a scriverlo. Io, come mamma, starò qui e, come già detto, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte sarò qui a sfogliare ogni nuova pagina. Checché se ne dica, il libro della vita è come un incantesimo, pieno di magia che ogni essere umano dovrebbe conoscere e poter sfogliare. E voi siete il libro più incasinato che possa mai aver desiderato.

Con affetto e infinito amore

La vostra mamma

Monica Guanzini
(Presidente dell’associazione La Mia Voce Ovunque)

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