E.T. 40 anni dopo. Se non fu soltanto un film?

pellerin et fantascienza
ET extra terrestre: "Telefono... casa"

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, molti di voi ricorderanno con simpatia e forse con un pizzico di nostalgia una strana figura che quarant’anni fa con voce roca pronunciava quelle poche parole che sono rimaste nella memoria di molti: “Telefono… Casa”. Allora eravamo lontani dall’invasione di Independence Day e gli extra terrestri erano buoni vicini interplanetari che passeggiavano per l’universo e ci guardavano con gentilezza. Era il 26 maggio 1982 quando al Festival di Cannes, fuori concorso, fu proiettato il film E.T. l’extra-terrestre del geniale Steven Spielberg che, dopo l’altrettanto straordinario Incontri ravvicinati del terzo tipo del 1977, avrebbe cambiato per sempre il rapporto fra cinema e fantascienza.

La voce arrotolata del giovane omino verde che si perdeva per caso sul pianeta Terra e che diceva al mondo “Home … Phone” fu affidata dall’incredibile regista ad un’anziana signora, accanita fumatrice, che non poté mai essere doppiata in modo adeguato. Tant’è. Quella frase stupefacente conquistò il cuore dei terrestri e mise d’accordo tutti quanti sul fatto che gli alieni fossero buoni e comprensivi e che circolassero per il sistema solare forse per turismo.

Di lì a poco quello strano figuro giunto da un altro pianeta o da una lontana galassia entrò trionfalmente alla mostra del Cinema di Venezia e si portò a casa un meritatissimo Oscar. La magia fu realizzata da Carlo Rambaldi, un altro genio della cinematografia, che coniugò l’esigenza di un fedele compagno di giochi di un bambino con l’ombra impressionante ma dai lineamenti buoni di una forma di vita convincente abitante mondi lontani. Così E.T. diventò non solo il miglior amico di Elliott, ma anche di un numero incredibile di bambini sparsi per il mondo e divenne il simbolo di quel trait d’union che lega il pianeta Terra con tutti i mondi “abitati”.

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Ivanoe Pellerin

“Fu vera gloria?” Io credo di sì e dà ragione alla notevole diffusione della letteratura di fantascienza che ha avuto una difficile avventura nel nostro paese. Infatti negli anni cinquanta/sessanta, mentre in Italia si disquisiva se la Science Fiction avesse o no la dignità di produzione letteraria, nei paesi anglosassoni si costruivano le cattedre universitarie dedicate a questo genere. Occorse aspettare la pubblicazione de “Le meraviglie del possibile” per i tipi di Einaudi nel 1959, con la magnifica prefazione di Sergio Solmi, perché la “fantascienza” cominciasse ad apparire come un genere letterario con una produzione ricchissima, personalità di scrittori di prim’ordine e un’estesa gamma di sorprendenti sollecitazioni all’intelligenza e all’immaginazione. Ritengo che siamo stati per lungo tempo vittime di uno straordinario provincialismo intellettuale.

Il suo nome significa “cielo” e degli spazi celesti la dea Urania conosceva anche i minimi dettagli. Affascinante Musa dell’astronomia, era spesso raffigurata come una giovane maga, con una veste di seta azzurra, la testa coronata di stelle e, al fianco, un grande globo raffigurante la volta celeste. Nel suo nome nel 1952 nasceva in Italia “Urania”, la collana di fantascienza più longeva del nostro paese. Voluta da Giorgio Monicelli (fratello del famoso regista) che coniò anche il termine “fantascienza” mutuandolo con poca fortuna dall’anglosassone science fiction, fu davvero una grande e difficile sfida, dopo l’enorme successo nel 1929 de “Il giallo Mondadori”, un marchio divenuto nel tempo un identificativo di genere. La storia di questa pubblicazione sarebbe tutta da raccontare ma, come dice il vecchio saggio, la rimandiamo ad un altro incontro.

Nel febbraio di quest’anno, la collaborazione fra Urania Mondadori, il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport ha dato vita ad una riedizione della collana per permettere a quei lettori giovani o meno giovani di provare l’esperienza di avvicinarsi a questo straordinario genere letterario anticipatore, profetico e immaginifico. Da Arthur C. Clarke (quello di “Odissea nello spazio”) a Isaac Asimov (quello delle tre leggi della robotica con “Io robot”), da Robert Heinlein (quello di “Straniero in terra straniera” e “Fanteria dello spazio”) a Roger Zelazny (quello di “Io, l’immortale” e “Il signore della luce”), da Philip K. Dick (quello di “La svastica sul sole” e “Minority Report”) a Ray Bradbury (quello di “Cronache Marziane” e “Fahrenheit 451) e molti altri. Direi di approfittare di questa bellissima occasione per avvicinarsi all’incredibile, al fantastico, al probabile, al futuribile, al meraviglioso. Leggere questa letteratura, che davvero non ha tempo, è volare direttamente in altri mondi, in altre dimensioni. Prose straordinarie vi costringeranno non solo a sospendere l’incredulità, ma ad immedesimarvi totalmente in universi paralleli dove i nostri doppi sono reali, in società straordinarie dove “quasi” tutto è possibile, in incredibili mondi alieni, ravvisandovi ugualmente gli elementi, la realtà, i problemi che fanno parte della vita di tutte le società presenti sulla nostra Terra.

Quarant’anni dopo bisogna forse rivedere quell’immaginifico film di Ridley Scott, “Blade Runner”, tratto dal distopico romanzo di Philip Dick, per verificare quante di quelle previsioni siano andate davvero a segno e se nel 2022 il presente sia meglio o peggio del futuro del 2019, immaginato nel 1982. Come potete constatare il tempo è poi l’inevitabile certificatore della nostra esistenza ed andare su e giù per la dimensione “tempo” è un bell’esercizio che raffina la nostra sensibilità e il nostro pensiero.

Cari amici vicini e lontani, circa il tempo è ben evidente che noi non ci occupiamo di lui ma lui si occupa sempre di noi. Allora forse sono significative le parole di Paul Clodel: “La vita è una grande avventura verso la luce”.

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