Futuro urbanistico del territorio. Con Milano che incombe

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Quale futuro territoriale per la provincia di Varese?

Chi la sa lunga la chiama “visione”. Più prosaicamente la si può definire programmazione urbanistica delle nostre città. In soldoni, si tratta dello studio e della relativa adozione dei Piani di governo del territorio, i Pgt, evoluzione lessicale dei vecchi Prg. Insomma, se non è zuppa è pan bagnato. Il tutto funzionale a pianificare lo sviluppo di città e paesi rispetto alle esigenze che si manifestano. Operazione che vede impegnati, perlomeno nelle intenzioni, i maggiori centri della nostra area, da Varese fin giù a Legnano, passando per Gallarate e Busto Arsizio. Le singole amministrazioni civiche ne parlano quasi con circospezione perché, si sa, la materia scotta, pone in essere scelte che possono sovvertire interessi e aspettative collettive e dei singoli. Minando di fatto anche gli esiti elettorali.

Figurarsi la voglia di mettere mano a un simile documento, che pure risulta decisivo e, appunto, irrinunciabile. A quanto ci risulta nessuno degli esecutivi delle quattro città di cui sopra sta affrontando con convinzione la partita urbanistica. Vedremo, faremo, avviamo. Di fatto non c’è ancora nulla di concreto, soprattutto a Gallarate dove, con l’inchiesta Mensa dei poveri che muove i suoi fantasmi dentro e fuori il Municipio, le faccende urbanistiche sembrano relegate sullo sfondo.

Eppure, la pianificazione urbanistica è, dovrebbe essere, tra le priorità di una qualunque giunta. Anche alla luce delle necessità di riposizionarsi a fronte dell’incalzare della Città metropolitana e, quindi, della stessa Milano. Sono Busto Arsizio e Legnano i due comuni più esposti. Il rischio che diventino periferia del capoluogo è enorme. In parte, forse, lo sono già. I collegamenti sempre più numerosi e importanti, le ferrovie, l’autostrada che diventerà addirittura a cinque corsie, la presenza di Malpensa, considerata a tutti gli effetti aeroporto di Milano, sono da un lato una risorsa, dall’altro un motivo in più per soverchiare storiche identità e favorire la trasformazione in città dormitorio. Per questo è indispensabile programmare il futuro, affrancandosi da una mentalità ragionieristica per aprirsi a interventi attrattivi, aggregativi e di sostanza. Come? Con luoghi dedicati alla cultura e alle attività collettive, ad esempio, che completino infrastrutture a valenza economico/produttiva. Il Pnrr può aiutare, se ci si vuole fare aiutare, se si è capaci di farsi aiutare.

Gian Franco Bottini, opinionista di Malpensa24, ha scritto e sottolineato in un suo recente intervento le opportunità che le città del Basso Varesotto e dell’Alto Milanese sono chiamate comunque a cogliere “a patto che riescano ad esprimere – sono sue parole – una concreta progettualità di impianti e servizi che diano alle promesse un verificabile e convincente riscontro”. Chiaro riferimento alle difficoltà di chi, abitando nella stessa Milano, cerca alternative residenziali nell’hinterland per far fronte al caro affitti e al costo della vita in genere. Senza dimenticare il contesto ambientale che va peggiorando di giorno in giorno e che, al di là della cintura metropolitana, è di sicuro più sostenibile.

Altro il discorso per Varese. Se Legnano, Busto e Gallarate hanno come mission di allontanarsi da Milano, nella Città Giardino l’obiettivo è esattamente l’opposto. Palazzo Estense agisce per accorciare le distanze. Il tentativo è di godere dei benefici che possono derivare da una linea diretta, più funzionale con la grande città. Varese “satellite” autonomo e a un tempo stesso agganciato a piazza Duomo. Una sorta di do ut des tra la metropoli e il capoluogo di provincia, nonostante proporzioni, situazioni e scenari che marcano appunto le distanze.

A fronte di tutto questo ci sono gli aspetti puramente urbanistici, di un territorio senza più soluzione di continuità tra un centro e l’altro. Una sola, grande città. Che meriterebbe una programmazione totale e unica, così da girare al largo da compromissioni progettuali e contrasti tra un insediamento e un altro sul confine comunale. Ma qui siamo nel campo delle pie illusioni, il fare squadra appartiene al campo della retorica politica, arte nella quale l’attuale classe dirigente eccelle molto più di quella del passato. La quale, se non altro, sapeva perlomeno parlarsi. Questa però è un’altra faccia della stessa medaglia.

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