La rivoluzione arancione di Edoardo Guenzani 

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Fu il simbolo della rivoluzione arancione in provincia di Varese. Negli stessi giorni in cui Giuliano Pisapia strappava  Milano al centrodestra di Letizia Moratti, Edoardo Guenzani “liberava” Gallarate dai tentacoli del caianiellismo imperante proprio nel suo epicentro. Una sorta di miracolo, venne definito allora. Di certo una vittoria contro ogni pronostico con un’eco sovracomunale, tanto che la notte del ballottaggio arrivarono in sala consigliare in truppe da Casorate, da Cassano e da mezza provincia per festeggiarlo.
I giovani cronisti che seguirono quella avvincente campagna elettorale del 2011 percepivano già nelle settimane antecedenti il voto l’aria di cambiamento che si respirava in una città riempita di palloncini arancioni, eppure i giornalisti che gli erano più vicini li reguardivano: «Nino Caianiello perde Gallarate? Non ci credo nemmeno se lo vedo». 
Da politico arguto, lo aveva invece capito Caianiello stesso. Tanto che, consapevole che la sinistra avesse scelto da una stalla dimenticata da tempo il cavallo vincente, quando uscì il nome di Guenzani rimase spiazzato e arrivò persino pubblicamente a dire: «Se sapevo che era interessato a fare il sindaco avremmo potuto parlarne». 
Secondo gli storyteller di quel periodo, fu l’inizio della fine dell’impero del mullah. I suoi sodali gliela giurarono, tanto che tra furbizie, sotterfugi e pseudo-scandali creati ad hoc, nei cinque anni successivi gli fecero sudare la fascia tricolore a tal punto da ricandidarsi quasi come atto dovuto, conscio che rappresentava la sola possibilità per il centrosinistra di rivincere dopo cinque anni di eccessiva morigeratezza. E infatti perse. Perché, proprio come diceva un altro esponente del centrosinistra gallaratese scomparso di recente, Dario Terreni, in politica «contano i numeri». E nel 2016, con Lega e Forza Italia tornati insieme a sostegno di Andrea Cassani, non ci fu partita. Guenzani non se ne fece un cruccio, anzi il giorno del passaggio di consegne a Palazzo Borghi sembrava quasi sollevato di poter tornare a tempo pieno al suo lavoro. Perché se è vero, come ha ricordato l’ex presidente del consiglio comunale Donato Lozito, che è riuscito a reinterpretare e mettere a frutto l’esperienza democristiana della Prima Repubblica nella seconda decade del Duemila, fu altrettanto evidente – in particolare negli ultimi cinque anni seduto in opposizione – che usi e costumi della politica moderna non gli appartenevano più. Quella entusiasmante stagione arancione in Italia era già finita da un pezzo e Gallarate non faceva eccezione. Guenzani ne era consapevole, e nonostante avesse meritato una uscita di scena meno modesta di quella che gli hanno tributato, dalla politica si congedò allo stesso modo con cui oggi ha scelto di andarsene per sempre. In silenzio, lontano da tutto e da tutti.

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