I Repubblicani di Reguzzoni nell’affollato Centro

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Matteo Salvini avrebbe avallato I Repubblicani di Marco Reguzzoni

Fuori dal politichese, l’iniziativa di Marco Reguzzoni, che ripropone i Repubblicani, ha una precisa finalità: recuperare consensi al Centro o, comunque, in quelle aree oggi senza una definita identità politica. I principi su cui si basa il nuovo contenitore richiama il “Grand Old Party” statunitense e prova, attraverso un’etichetta associativa culturale, a inserirsi nel contesto politico nazionale, lato di centrodestra, senza disdegnare eventuali adesioni da centrosinistra. Per dirla in un altro modo, è una sorta di escamotage per recuperare i voti dei cosiddetti moderati oggi dispersi un po’ ovunque, elettori che, per le più disparate ragioni, faticano a riconoscersi nei partiti dello schieramento di governo o che cercano nuove sicurezze (vedi Forza Italia senza più il suo leader).

Non si può dimenticare che Reguzzoni vanta solidi radici leghiste, a un certo punto abbandonate per via di quel suo carattere un po’ fumantino che, per motivi mai spiegati fino in fondo, lo hanno allontanato dalla Lega salviniana, benché avesse raggiunto posizioni di primissimo piano al suo interno (capogruppo alla Camera). Dentro la Lega, Reguzzoni rifà capolino, ottenendo addirittura il consenso (così si dice) del Capitano alla ricomposizione de I Repubblicani. Nel 2015, il bustocco Reguzzoni ci aveva già provato con il viatico nientemeno che di Silvio Berlusconi. L’obiettivo, allora come oggi: formare un movimento che sfoci nel partito unico di centrodestra. A dire il vero, una mission un tantino velleitaria in un contesto politico troppo autoreferenziale per far confluire tutti in un solo soggetto. Tanto più che la suggestione del Centro trova una serie di competitor altrettanto convinti, perlomeno nell’ottenimento del consenso: Matteo Renzi, Carlo Calenda, Letizia Moratti.

Un affollamento funzionale a rosicchiare voti qua e là, che non depone per un risultato vero, comunque sufficientemente affidabile al punto da richiamare elettori a bizzeffe e far nascere “un movimento popolare di massa”. E allora? I Repubblicani, a cui aderiscono autorevoli leghisti, da Andrea Mascetti (che ha sotterrato l’ascia di guerra dopo i personali trascorsi turbolenti con Reguzzoni) a Emanuele Monti, non proprio personaggi di secondo piano nella Lega varesina, regionale e nazionale, vicini, guarda caso, a Giancarlo Giorgetti; i Repubblicani, dicevamo, cercheranno con forza di conquistare spazi e visibilità sulla scena politica attraverso una annunciata serie di appuntamenti pubblici.

Avranno successo? Sono in molti a pronunciare il ben augurante “in bocca al lupo”, nonostante lo scetticismo di chi, in questa iniziativa, vede sullo sfondo l’esigenza dello stesso promotore di tornare ad occuparsi di politica, dopo averla abbandonata in scia al declino di Umberto Bossi, al quale è sempre rimasto legato in contrapposizione a Salvini. Reguzzoni è uno che ha fatto suo lo slogan leghista “mai mulà”, tanto più che ha capacità riconosciute e una determinazione che, fin da quando fu giovane presidente della Provincia di Varese, lo ha sempre sorretto. Basti pensare allo straordinario museo di Volandia, che porta la sua firma. Adesso, rieccolo lì, nella sua Busto, a rimescolare carte e, anzi, a dare le carte. Che vanno ben oltre il perimetro locale, per uno che un giorno abbandonò la politica, sbattendo la porta in faccia al suo partito, ma che in verità è sempre rimasto in politica. Una contraddizione in termini, che certifica un’altra verità: Reguzzoni, anche se lui lo smentirebbe, non ha mai reciso davvero il cordone ombelicale con la Lega e, anzi, nel suo intimo, spera di ritornarne presto un protagonista.

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