Il primario nei reparti Covid di Busto: «Noi lottavamo, ma loro morivano»

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BUSTO ARSIZIO – Dal 9 gennaio quando le notizie provenienti da Wuhan iniziano a preoccupare i medici, all’ingresso del Covid in ospedale. E poi i giorni della grande emergenza, quando nei reparti dedicati alla cura del virus la battaglia ospedale busto primario ghiringhellitra la vita e la morte si gioca sul filo del rasoio. E in molti casi, nonostante tutti gli sforzi medico infermieristici, a vincere era la seconda. Eppure non ci si è mai arresi in quei reparti “sequestrati” dal Covid. Chi racconta quei momenti intensi e drammatici è Paolo Ghiringhelli, direttore della Struttura complessa di Medicina interna dell’ASST Valle Olona e Responsabile dei reparti Covid 3 (alta intensità di cura) e Covid 5 dell’Ospedale di Busto Arsizio. Da fine febbraio la sua routine lavorativa è stravolta dall’emergenza Covid-19. Quasi due mesi di apnea, poiché nei reparti ci sono stati lunghi giorni in cui quasi non c’era nemmeno il tempo di respirare. E che ora, nel momento in cui il virus non è vinto, ma sembra aver per lo meno allentato la presa, racconta con una testimonianza diretta.

Cronologia fra scienza e fiducia

«Il 9 gennaio si rincorrono le notizie di una epidemia in atto a Wuhan, in Cina e il 31 dicembre l’OMS viene informata dalle autorità cinesi. Fra noi medici sale l’incertezza. Soprattutto quando apprendiamo che solo dopo due decessi viene iniziata la costruzione di un ospedale per 1000 persone e vengono isolate 60 milioni di persone». Queste parole del dottor Ghiringhelli sono l’incipit di una storia che di lì a poco da quel 9 gennaio, prenderà a correre così velocemente da travolgere la vita anche dei lombardi.

Febbraio – scrive il dottore – passa tra notizie sempre più catastrofiche e rischi di contagi sempre più vicini. Compaiono sindromi influenzali con caratteristiche cliniche che ci sembrano strane. Gli infettivologi vengono messi sotto torchio per il numero di casi che si presentano in PS e i Direttori continuano a riunirsi per cercare dei percorsi dedicati, generare aree di isolamento e prepararsi al peggio. Mi danno l’incarico di seguire la organizzazione dell’area Covid 2 all’Ospedale di Busto Arsizio e mi assegnano come coordinatrice la mia caposala di Saronno Antonella. Con l’aiuto della dottoressa Tiziana Anzini del Servizio Infermieristico riabilitativo aziendale (Sitra) organizzano una zona filtro e un reparto di biocontenimento di alto livello.

Mi viene in mente quando, dopo l’attentato alle Torri gemelle, venni richiamato come Ufficiale Medico del Corpo Militare della CRI (andai con le numerose ferie residue) alla Scuola Militare di Rieti per la difesa dalle aggressioni biologiche, chimiche e ionizzanti per un corso informativo NBCR. Circa un anno fa, partecipai come docente a un corso per il biocontenimento  in caso di attacchi biologici e lo si faceva senza pensare che qualche cosa di simile, purtroppo, sarebbe accaduta.

Il Covid entra in ospedale

Subito dopo la preparazione delle aree dedicate di isolamento, si inizia a lavorare con i malati Covid in modo ingravescente e così pure il resto dell’Ospedale con il reparto di Malattie Infettive, i neoreparti Covid 0, Covid 1, Rianimazione 0, 4, 7. E’ nei momenti drammatici che si vede la reale personalità di uomini e donne e su quali valori hanno basato la loro esistenza personale e professionale.

Si rende subito evidente la necessità di guardie notturne dedicate, poiché i pazienti in ventilazione non invasiva hanno bisogno di frequenti interventi del medico: o per riposizionare il casco della C PAP o per ricevere incoraggiamenti a resistere alla claustrofobia che inevitabilmente si presenta indossando il presidio o la maschera.

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Dopo la terza notte che facevo in meno di una settimana i medici che non avevano inizialmente aderito si sono resi conto che in 3 colleghi non ce l’avremmo mai fatta da soli e così progressivamente tutta l’équipe ha detto sì. Quelli in grado di gestire la ventilazione non invasiva sono stati arruolati nei Covid di nostra responsabilità, gli altri sostenevano l’attività ordinaria dei pazienti non Covid e ci sgravavano delle attività burocratiche.

La squadra cresce

Fortunatamente dei benefattori, stimolati da una nostra collega, si sono impegnati con finanziamenti a fare avere a disposizione dei respiratori meccanici, che ci hanno permesso di gestire i caschi o la ventilazione non invasiva in modo adeguato. Grazie a mio cognato recupero una dottoressa ingegnere, le spiego di progettarmi una maschera che possa montare i filtri antivirali che mi avevano donato e inizio il giorno seguente a usare anche un presidio stampato da una stampante 3 D. Il presidio nel frattempo giorno dopo giorno veniva perfezionato con nuove edizioni e ora è in fase di certificazione al Politecnico di Milano.

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Lottavamo, lottavamo, lottavamo. Ma i pazienti morivano

I pazienti purtroppo a tratti sembravano migliorare e poi improvvisamente peggioravano alcuni fino all’exitus. Lottavamo, lottavamo, lottavamo. Leggendo appena possibile tutti gli articoli dedicati delle più importanti riviste scientifiche. Cercando di sfruttare al meglio l’esperienza dei cinesi, ma la genetica è diversa, da noi lo steroide funzionava e funziona quando dato al momento giusto.

Non è ancora finita ma ce la faremo

Il lavoro attualmente è comunque costante e permette di avere letti di riserva. E’ stata preziosissima l’istituzione dal nulla di un reparto di semintensiva, con preziosissimi monitoraggi seguiti a distanza dal personale, monitoraggi che tuttora permettono di seguire al meglio i pazienti senza esporre gli operatori al rischio continuo di contagio e permettono di risparmiare i dispositivi di protezione individuali di livello protettivo adeguato che sul mercato sono quasi introvabili. In conclusione io e la mia équipe esprimiamo un grande grazie a tutta la Direzione strategica ASST Valle Olona.

Un grande grazie anche al personale di ogni ordine e grado e soprattutto a quello femminile con a carico una famiglia che, pur vivendo nel terrore di portare a casa il virus, ha saputo mantenere continuità lavorativa tenendo fronte magari anche ai compiti dei figli che, privi del tutoraggio diretto dei docenti, spesso aspettavano e aspettano i genitori al termine del lavoro per eseguire e studiare le lezioni richieste. Un grazie infine anche al Vescovo di Varese Monsignor Franco Agnesi che ci ha inviato un medico internista, don Fabio Stevenazzi, che ha contribuito fattivamente ai turni di guardia e di assistenza.

Non è ancora finita. Ma ce la faremo.

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