La crisi del Mar Rosso spaventa l’Europa

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, la crisi del mar Rosso dimostra quanto l’economia europea sia debole poiché non ha un’adeguata protezione militare. Gli attacchi dei ribelli Houthi ai navigli che si dirigono verso il canale di Suez stanno provocando danni neanche paragonabili a quelli subiti durante la pandemia da Covid. La necessità di allungare il viaggio attorno al Capo di Buona Speranza, quindi di circumnavigare l’Africa, con l’aumento del prezzo del carburante di circa il 54%, porta non solo ad un drammatico aumento del costo dei trasporti ma, per evidente conseguenza, delle merci, dei noli e delle assicurazioni. Intanto la politica europea è ancora titubante se inviare o no una flotta a protezione delle rotte come gli USA e la Gran Bretagna hanno già messo in campo.

Il bollettino della Bankitalia diffuso il 19 gennaio dice: “Nella seconda metà di dicembre i volumi in transito nello stretto di Bab el-Mandeb all’imbocco del Mar Rosso risultavano inferiori di quasi il 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.” Intanto la situazione è in peggioramento. Annoto che un terzo delle importazioni italiane passa attraverso il canale di Suez; di queste fanno parte sia l’approvvigionamento del greggio sia dei prodotti metal-meccanici. Per quanto riguarda invece l’export, su questa rotta transita quasi il 7% delle merci in uscita. Se le esportazioni italiane valgono circa 600 mld, la perdita arriva a 46 mld.

Ingenti sono anche le perdite per i porti italiani. Mentre le polizze assicurative dei navigli sono aumentate fino al 400%, la rotta intorno all’Africa indirizza poi le navi mercantili verso i porti del Nord Europa, per esempio verso Rotterdam, con la perdita per l’Italia di circa 13 mld per Iva e accise. A Genova, a dicembre, sono arrivate quattro navi portacontainer in meno rispetto all’anno passato e per gennaio la situazione appare già difficile. Ricordo che Genova serve il mercato del Nord Italia e in parte i paesi centro-europei, mentre il traffico a Trieste, ancora più lontana (occorre risalire l’Adriatico), riguarda in parte anche Austria, Germania e Ungheria. Ma vi è un altro problema all’orizzonte.

Le festività del Capodanno cinese tra il 10 e il 25 febbraio bloccheranno un notevole numero di attività industriali in Asia. Di fronte a questa già difficile situazione, gli analisti prevedono un aumento significativo del prezzo del petrolio e del gas, un rallentamento dell’approvvigionamento delle materie prime delle quali abbiamo grande necessità e quindi un aumento dei costi delle opere che potrebbe arrivare ad incidere sul Pnrr.

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Ivanoe Pellerin

Come scrive l’ottimo Federico Rampini sul Corriere della Sera del 13 gennaio, “l’Iran è il grande guastatore di quest’area. Il suo regime clericale tiene le fila di quello che chiama “l’asse della resistenza contro il Grande Satana americano e il sionismo israeliano”, di fatto un asse del terrore che unisce Hamas, Hezbollah, Houthi e altre milizie oltre al regime di Assad in Siria.”. Annoto che l’Iran è sciita mentre l’Arabia Saudita è sunnita: non corre buon sangue tra le due nazioni, ma la teocrazia iraniana è riuscita a congelare i rapporti fra Israele e l’Arabia. Dopo gli accordi di Abramo, questo ulteriore passo avanti fra i gli Stati del Medio Oriente avrebbe certamente aperto un periodo oltremodo buono e avrebbe favorito la prosperità di tutta l’area.

Ricordate quando il Libano era considerato una piccola Svizzera? Dopo il disgregarsi dell’impero ottomano, il Libano proclamò l’indipendenza nel novembre 1943. Il presidente Fu’ad Shihab tra gli anni cinquanta e sessanta fece del Libano il centro economico-finanziario, ma anche culturale, dell’intero Medio Oriente, con intensi scambi commerciali con i principali paesi europei come Francia e Italia. Nel 1982 il Paese subì un’invasione da parte di Israele: l’operazione militare fu denominata da Israele “Pace in Galilea” e fu intrapresa per sradicare dal Libano la presenza armata palestinese. A questo punto un intervento internazionale multiforze americano, francese e italiano consentì la fuga della dirigenza dell’OLP e di molte unità armate palestinesi. Il 23 ottobre 1983 un duplice attentato dinamitardo da parte di Hezbollah alle basi della Forza Multinazionale causò la morte di 241 marines statunitensi e 56 soldati francesi. Questo provocò il ritiro pochi mesi dopo delle truppe di pace, lasciando il Libano in una strisciante guerra civile. Dal 2011 nel corso della guerra civile siriana, si è determinato un riacutizzarsi del conflitto settario libanese che vede le fazioni sunnite sostenere i ribelli, mentre quelle sciite, e in particolare la milizia Hezbollah, sostenere anche militarmente il governo siriano. A “qualcuno” interessa molto che questa nazione rimanga terreno di scontro fra le opposte fazioni. L’altro giorno, in Siria, l’esercito israeliano ha colpito con un attacco aereo mirato un edificio nel centro di Damasco dove si svolgeva un incontro fra i vertici di Hezbollah e della Jihad.

Per tornare alla crisi del mar Rosso e alla cabina di regia iraniana, solo l’Occidente ed in particolare l’America e Israele potrebbero decidere di spezzare l’invadenza della teocrazia dell’Iran, anche tenendo conto che il programma nucleare iraniano è molto vicino alla fatidica soglia della costruzione della bomba. D’altra parte la scaltra politica dell’Iran, pur correndo rischi enormi, è riuscita persino a stringere alleanze interessate con due regimi fortemente anti-musulmani come la Russia e la Cina.

Cari amici vicini e lontani, Antony Blinken, vorrebbe ricostruire gli equilibri esistenti prima del drammatico 7 ottobre 2023 con un grande impegno di spostamenti e di colloqui fra le varie capitali del Medio Oriente, un po’ sulla falsariga della politica itinerante del celebre Henry Kissinger. Ma Hamas è riuscita davvero a sconvolgere fortemente i delicati equilibri fra l’Occidente e i moderati sunniti come Arabia, Egitto, Giordania ed Emirati e, a causa di ciò, per l’inviato del Presidente Biden la partita è sì aperta ma estremamente difficile.

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