La Lombardia chiede altri 7 giorni di stop per virus. Per non mandare in tilt la sanità

MILANO – Ancora una settimana di restrizioni in Lombardia, con la sospensione delle scuole e degli eventi pubblici e le misure previste nell’ordinanza del 23 febbraio: è la proposta che Regione Lombardia, dopo averla condivisa con gli esperti, ha sottoposto al governo Conte per continuare nella sfida alla diffusione del coronavirus. «Se si estende, gli ospedali andranno in crisi» ammette l’assessore alla salute Giulio Gallera. Attesa per domani, sabato 29 febbraio, la risposta di Palazzo Chigi.

Altri sette giorni “blindati”

Una reiterazione delle misure contenute nell’ordinanza di domenica 23 febbraio, con qualche chiarimento in più. Questa la proposta sul tavolo del governo. «Dev’essere accolta dal consiglio dei ministri – precisa l’assessore all’economia Davide Caparini – dalle interlocuzioni avute ad oggi non ci è stato dato nulla di certo, e purtroppo non siamo in condizioni di dare risposte alle famiglie che ci chiedono se le scuole riapriranno. Per noi è un provvedimento fondamentale per la salute pubblica». Tra le precisazioni chieste da Regione, «trasformare la chiusura delle scuole in una sospensione delle lezioni – fa sapere il vicepresidente Fabrizio Sala – per permettere agli istituti dotati di smart learning di attivare queste pratiche, con i soli docenti che si recherebbero a scuola». Oppure, aggiunge Gallera, «aperture con ingressi contingentati dei musei e misure specificate in modo più puntuale per consentire ai bar di rimanere aperti con servizio al tavolo». Sala chiarisce: «Sono misure non di indicazione politica ma scientifica. Reagiamo, mettiamo in atto tutto ciò che si può, ma non siamo di fronte a una semplice influenza».

La situazione

L’assessore al welfare Giulio Gallera tira le prime somme a otto giorni dal primo caso positivo emerso a Codogno e a sei giorni dall’ordinanza che ha “blindato” la Lombardia e altre regioni e che domenica 1 marzo scadrà: «La diffusione del virus è ancora circoscritta, con un’incidenza alta in pochi territori, pari al 3% della popolazione regionale. Clinicamente non dà problemi, è facilmente risolvibile nel 90% dei pazienti, ma negli altri, in particolare anziani, richiede la terapia intensiva. Il sistema è stato estremamente reattivo e in grado di gestire sovraffollamenti critici, ma se la diffusione si estende, gli ospedali andranno in crisi». È quello che temono anche gli esperti, come Paolo Grossi, infettivologo dell’università dell’Insubria, che teme che dove si diffonde il contagio «si possa salire in pochi giorni da zero ad un numero elevato di casi. E negli ospedali dobbiamo garantire il minimo assistenziale, non c’è solo il coronavirus». Oppure Massimo Galli, direttore del reparto malattie infettive del Sacco di Milano: «Dobbiamo ridurre la diffusione per passare da 2-2,5 casi per paziente contagiato a meno di 1».

I numeri non si fermano

L’ultimo aggiornamento dei dati parla di 531 tamponi positivi su 4835 analizzati. Dei contagiati, meno della metà (235) sono ricoverati, mentre sono 85 quelli che si trovano in terapia intensiva. «A fronte di questi dati – spiega l’assessore Gallera – abbiamo elaborato un piano, che abbiamo voluto sottoporre ai maggiori esperti lombardi in materia». Esperti che sono stati portati in conferenza stampa, per spiegare le motivazioni della richiesta di proroga delle misure dell’ordinanza Fontana-Speranza. «Il rallentamento della vita sociale sta dando qualche risultato – sottolinea Gallera – la nostra proposta al governo, figlia di valutazioni scientifiche che puntano a chiedere un ulteriore sacrificio di qualche giorno per poter voltare pagina al più presto, è di mantenere le misure attive ancora per una settimana».

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