L’arcivescovo, don Abbondio e i giornalisti

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Monsignor Mario Delpini durante il Discorso alla città di mercoledì

Nel Discorso alla Città, in occasione della festività di Sant’Ambrogio patrono di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini ha tirato le orecchie anche ai giornalisti. La categoria degli scriba sarebbe da includere tra i “seminatori di paure”, coloro i quali, secondo monsignor Delpini, minerebbero alla base la fiducia e, appunto, alimenterebbero, assieme ad altri, il senso di precarietà sociale e la mancata assunzione di responsabilità da parte delle classi dirigenti.

Testuale dalla sua omelia durante il pontificale di mercoledì sera:Per farsi un’idea di che cosa stia succedendo nel mondo, ma anche in città, sono decisive le notizie che i media scelgono e diffondono. Se i media, di tutto quello che succede, comunicano preferibilmente le notizie di episodi tragici, di comportamenti pericolosi, di problematiche spaventose, di prospettive preoccupanti, è comprensibile che l’immagine della realtà che si condivide, l’atteggiamento personale e il clima che si respira siano malati di paura. C’è, quindi, una responsabilità indeclinabile di coloro che operano nel campo della comunicazione”.

Parole chiare, che obbligano tutti noi, operatori dell’informazione, a una seria riflessione su un mestiere che sta cambiando velocemente, in molti casi in peggio, e che, appunto, ci pone davanti domande definitive. Qual è oggi il nostro compito? Quale la cifra deontologica? L’arcivescovo parla da religioso, anche lui, sotto un certo punto di vista, fa il suo mestiere. Non potrebbe essere diversamente. Diciamo pure che la sua è una provocazione a fin di bene. Tanto che, scosse le coscienze, dovremmo subito interrogarci su che cosa pubblicare per non “seminare paura”.

Quali sono le notizie che al contrario aiuterebbero a recuperare fiducia, come giustamente auspica l’arcivescovo? E’ possibile confondere i fatti, così come accadono e come ci vengono proposti dalla realtà? No che non è possibile. E allora? Bisognerebbe forse essere capaci di interpretarli e, se del caso, dissimularne i contenuti per evitare l’ansia collettiva? Non faremmo più i giornalisti, né racconteremmo la verità, seppure scomoda, a volte terribile, del mondo. Poi si commenterà che tutto è relativo, che la verità non esiste, che ognuno ha la propria, figurarsi i giornalisti. E, ancora, si dirà che l’informazione è drogata, ossessiva, cerca sempre e soltanto il sensazionalismo e che, per sua natura, finisce per distorcere la stessa dinamica dei fatti.

Ciascuno ha un’opinione e, di solito e per definizione, verso i giornalisti è un’opinione negativa. Certo, per assumersi la propria parte di responsabilità ci vuole coraggio. Lo devono avere, il coraggio, coloro i quali maneggiano le notizie. “Il coraggio ciascuno se lo può dare” ha intitolato il suo Discorso l’arcivescovo Delpini, ribaltando di fatto la frase del don Abbondio dei Promessi Sposi (“Il coraggio se uno non ce l’ha, non se lo può dare”) e chiamando tutti a una maggiore serietà professionale e, soprattutto, a una diversa attenzione verso i propri simili. Cominciando dai politici fino ai giornalisti, anche loro in cerca di gloria.

Sbagliano, certo che sbagliano. A meno che abbia ragione Vittorio Feltri, che di giornalismo e di provocazioni giornalistiche ne ha da vendere, quando scrive: “Il giornalismo deve fare casino, se no è meglio leggere i necrologi o la lista della spesa”. Monsignor Delpini non sarà d’accordo, ma il coraggio non può essere considerato da una sola prospettiva. E la fiducia è un aspetto troppo importante e decisivo per conquistarla tenendo gli occhi chiusi.

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