L’arresto di Toti e la legge dell’”io so’io”

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Il Palazzo della Regione Ligure

C’è ancora qualcosa che può sorprenderci? L’arresto di Giovanni Toti, governatore ligure, e della cerchia che, secondo l’accusa, sarebbe coinvolta nel presunto, diffuso malaffare, arriva con la forza di un maglio a un mese dalle elezioni. Adesso qualcuno evocherà la giustizia ad orologeria, la magistratura politicizzata, il complotto a danno di questo o di quello. La verità è che nessuno poteva ipotizzare un simile sbocco per un politico sino a questo momento insospettabile rispetto ad affari di corruzione e robaccia affine. Ma non è una sorpresa, perlomeno non lo è a fronte di un sistema che non risparmia nessuno, a destra, a sinistra, al centro. Chi c’è c’è. In Liguria come in Piemonte in Puglia o in Sicilia.

A trent’anni abbondanti dalla “lavatrice” di Mani Pulite non è cambiato niente rispetto ai modelli illeciti di allora. E se qualcosa è cambiato, è in peggio. Le cronache di questi anni traboccano di inchieste, arresti, coinvolgimenti eccellenti per le più disparate situazioni, per i più incredibili episodi di disonestà nel comparto pubblico. Se ne sono viste e sentite di tutti i colori, fino al punto che la “bomba” giudiziaria ligure rischia di passare come l’acqua sul marmo, come tutto il resto. Fino al punto che non siamo più capaci di indignarci e, quindi, di sorprenderci. Ergo, ci stiamo abituando a qualunque cosa.

La reazione è il “non voto”, la diserzione dalle urne, che però non è la soluzione. Anzi, per una certa politica va pure bene così, che, cioè, tra di essa e il mondo reale ci sia un abisso: meno ci si interessa di quanto accade nei Palazzi, più facile è farsi gli affari propri. Basterebbe dare un scorsa a “Io so’ io: come i politici sono tornati ad essere intoccabili”, di Sergio Rizzo (edizioni Solferino) per mettersi le mani nei capelli. Basterebbe, ma siamo talmente distratti da altre questioni che certe letture rimangono sullo sfondo. Vengono tenute sullo sfondo per non risvegliare la rabbia di tutti noi, che porterebbe alla ribellione.

D’accordo, non tutto è malaffare. E’ anche una questione di opportunità e di stile. Parole vuote in un contesto che se ne infischia delle regole comportamentali che, per esempio, eviterebbero a un ministro di fermare un treno, o a un qualunque personaggio pubblico plurindagato di rimanere al proprio posto. Vige l’idea dell’impunità. Passa il concetto che molte delle inchieste della magistratura finiscono con un nulla di fatto, con un proscioglimento già in fase istruttoria o con una sentenza di assoluzione. Per il nostro ordinamento nessuno è colpevole fino al terzo grado di giudizio, ci mancherebbe. Vale per tutti gli indagati, quindi anche per Toti e compagnia cantante.

Ma anche questo non ci esime dal prendere atto che c’è molto che non va nel nostro sistema politico. Molto e anche di più. Così che intervenga finalmente un senso di responsabilità collettiva in luogo della convinzione di impotenza e della rassegnazione, scontati sostegni per signori dell’ “io so’io e voi non siete un cazzo”, frase resa famosa dal Marchese del Grillo che l’ha presa in prestito da un sonetto di Gioacchino Belli, alla loro tracotanza. Finchè giustizia non li colga.

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