Alessandra Dolci a Lonate, il capo della Dda di Milano zittisce il figlio di Casoppero

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LONATE POZZOLO – «Io non so chi sia Modesto Verderio». Detto così sembrerebbe quasi uno sgarbo. Ma se a pronunciare queste semplici parole con serena decisione è Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, allora la frase è un grande accreditamento. Se il capo della Dda milanese, che ha coordinato tutte le più importanti operazione sulla locale di ‘ndrangheta Legnano-Lonate Pozzolo degli ultimi 10 anni (da Bad Boys a Crimine Infinito sino alla recentissima Krimisa), non sa chi sei, significa che tu, esponente politico lonatese, con la criminalità organizzata non hai mai avuto nulla a che fare. A differenza di altri esponenti politici finiti, negli anni, indagati o peggio arrestati.

La sala gremita

Ma andiamo con ordine. Alessandra Dolci è stata protagonista ieri, giovedì 16 settembre, del quinto del ciclo di incontri La ‘ndrangheta tra noi, promossi, tra Ferno e Lonate, dalla cooperativa San Martino insieme a una fitta rete di associazioni del territorio. Un segnale forte, un invito di peso che Dolci, perfettamente guidata dal giornalista Paolo Rossetti, redattore de Il Cittadino di Monza, ha raccolto con piacere. A dare la cornice di un quadro che andrà colorandosi nel corso della serata che ha visto una vasta partecipazione da parte dei cittadini con sala civica sold out (pur con i parametri delle limitazioni Covid) e pubblico ordinatamente seduto in ascolto anche all’esterno, è il sindaco di Lonate Pozzolo Nadia Rosa.

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Il clima avvelenato e i social

Il sindaco, ha definito la sala gremita «Un segnale positivo. Soprattutto oggi dove a Lonate insiste un clima avvelenato anche e soprattutto attraverso i social. Un clima avvelenato fatto di diffamazioni, intimidazioni, menzogne e velate minacce. Un clima che alcuni minimizzano, all’interno del quale vengono persino banalizzate delle sentenze giudiziarie. C’è chi non lo vuole comprendere, c’è chi, anche partiti politici, non ne prende le distanze. Noi, al contrario, non vogliamo commistioni di sorta». Tra i tanti, in sala, sono presenti anche Modesto Verderio, già presidente di Sap ed esponente di Grande Nord, e Antonio Casoppero. Che, come lui stesso spiegherà non appena presa la parola per fare la “sua” domanda a Dolci, è il figlio di Cataldo Casoppero, coinvolto in tutte le citati indagini di ‘ndrangheta tra Lonate, Ferno e Legnano, già condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso e condannato di nuovo, anche in Appello, per lo stesso reato a 14 anni perché coinvolto in Krimisa. Antonio Casoppero non è, invece, mai stato coinvolto in un’inchiesta per associazione a delinquere di stampo mafioso.

Non so chi sia Verderio

Dal pomeriggio Casoppero jr aveva manifestato, attraverso i social, l’intenzione di porre questa benedetta domanda alla dottoressa Dolci su Verderio, spesso oggetto di post “di denuncia” (e poi da denuncia visto la pioggia di querele) nei confronti dell’amministrazione Rosa e di Verderio in particolare. E la domanda è arrivata: «Io conosco le carte d’indagine – ha detto Casoppero – Perché lei chiede al pentito Emanuele De Castro se avesse rapporti con Modesto Verderio? Perché chiede solo di questo politico?». Il “sottotitolo” è evidente. Perché tu, Dda di Milano, vuoi sapere dei rapporti tra un mafioso e un dato politico? La domanda è retorica. La risposta è di una serenità disarmante: «Vede io ho la memoria di un pesce rosso – ha replicato Dolci – La memoria di un pesce rosso dura tre secondi. Ma io sono sicura di non aver mai posto questa domanda a Emanuele De Castro. E la ragione per cui ne sono certa – ha concluso Dolci – E’ che non so chi sia Modesto Verderio». E siccome i social sono una cosa e la realtà è un’altra, le educate insistenze di Casoppero sono state zittite dal fragoroso applauso di tutto il pubblico presente in sala.

Una ‘ndrangheta di banchieri

Tutto questo a margine di un incontro interessante durante il quale Dolci ha spiegato come l’ ‘ndrangheta abbia cambiato pelle «Non più crimini violenti ma operazioni economiche». E’ una criminalità organizzata di banchieri (con vere banche) che accumula contante rastrellato dallo spaccio di droga e dall’evasione fiscale e poi lo rivende, che oggi la liquidità è fondamentale. Una criminalità che si avvale di professionisti serissimi e conta su una zona imprenditoriale “grigia”. «Imprenditori lombardi che si affidano a ditte gestite dalla ‘ndrangheta perché costano meno – ha spiegato Dolci – E alla domanda: e perché costano meno? La risposta dell’imprenditore è: probabilmente non pagano le tasse, fanno lavorare i dipendenti in nero. Però rispettano i tempi e spendi meno che con gli altri. E io, questo dice l’imprenditore, devo salvare la mia azienda». Dolci ieri sera ha provato, ancora una volta, che lo Stato c’è: «Il monitoraggio è costante, anche su Lonate, su questo territorio». Le risposte arrivano: arresti e condanne lo dimostrano. «A chiunque si trovi in queste situazioni diciamo: rivolgetevi a noi. Siamo qui a vostra disposizione».

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