Meloni, sostituire meglio che subire

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Il ministro Francesco Lollobrigida: "No alla sostituzione etnica"

di Massimo Lodi

Di sostituzione si dovrebbe parlare. Ma non etnica. E invece etica. Cambiare modello di comportamento istituzionale, misurare le parole, conoscerne il significato, comprendere che la politica può sopportare le gaffe come eccezioni, ma non accettarle come regola. 

L’idea del ministro dell’Agricoltura a proposito d’immigrazione non merita una condanna misurata sulla storia, su quello che un dire così sinistro ha significato nella dominazione della destra autocratica durante il Secolo breve. Bisogna collocarla in un più semplice presente, segnato dal dichiarazionismo frettoloso, superficiale, mediocre. Ecco, mediocre. Semplicemente questo.

Vediamo, sentiamo, subiamo un ministro che ha numeri discutibili per esserlo. Tutto qui: uno dei tanti non memorabili nel ruolo. Quando di mezzo c’è un problema complesso/scivoloso tipo la pressione alle nostre frontiere di migliaia di povericristi che cercano approdo, soccorso, conforto; e poi lavoro, studio, integrazione; e ancora armonia, unione, fratellanza; quando si è alle prese con un fenomeno epocale che richiede, per essere arginato/gestito, il sostegno d’un insieme collaborativo di Paesi (a cominciare dalle sovraniste Ungheria, Polonia, Svezia), bisogna usare la saggezza del realismo. Il talento della dialettica. L’arte della diplomazia. 

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Massimo Lodi

Doti finora nascoste dal ministro-gaffeur e da alcuni suoi pari grado o idem fede. Non è questione di nostalgia postfascista. È questione d’inadeguatezza neodemocratica, d’infantilismo etimologico-strategico. E ormai il problema va allargandosi: lo dimostra una fila di topiche, protagonisti i titolari di Interni, Pubblica istruzione, Giustizia, presidenza del Senato, vicepresidenza della Camera eccetera. Anziché tollerare e sopire, spallucciare e spegnere, la premier dovrebbe ingegnarsi prima che sia troppo tardi ad avvicendamenti opportuni. Anzi, doverosi.

Nella vita dei governi le surroghe possono non risultare una sconfitta, qualora decise nel tempo giusto e con gl’innesti azzeccati. Diventano, al contrario, vittorie sul pressing delle obiezioni. Successi di politica pragmatica. Attestati di forza identitaria: dimostro che il tratto distintivo della mia coalizione sopravvive alla decadenza d’alcuni suoi interpreti. Certo, i cambi in corsa di solito avvengono a gara avanzata, ma se il fiato corto di qualche runner impone una veloce staffetta, meglio fargli consegnare il testimone a un compagno di squadra piuttosto che esser testimoni dello sfarinarsi della medesima. Né vale a scusante dell’attendismo il molle sgambettare degli avversari in Parlamento, per i quali ci vorrebbe una sostituzione epica. Roba da leggenda, per ora.

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