VISTO&RIVISTO L’educazione sentimentale secondo Dolan

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di Andrea Minchella

VISTO

MATTHIAS & MAXIME, di Xavier Dolan, Canada 2019, 119 min., Sky Cinema).

Dolan, con questa sua opera, torna alle origini. Dopo l’acclamato “E’ solo la fine del mondo” e il controverso “La mia vita con John F. Donovan” il regista canadese si rimette la macchina sulla spalla e filma dinamiche ed emozioni proprie della giovinezza e della libertà. Maxime, lo stesso Dolan, e Matthias, un sorprendente Gabriel D’Almeida Freitas, sono due amici fin dall’infanzia che scoprono, da adulti e alla vigilia di un lungo viaggio di Maxime verso l’Australia, che il loro sentimento verso l’altro è probabilmente più profondo e indefinito di quello che pensavano fino a quel momento.

E così assistiamo ad una poetica e dolce ricerca, da parte dei due protagonisti, di una verità che difficilmente si palesa, senza che i due protagonisti non debbano mettere in discussione tutte le loro esperienze, le loro sensazioni e le loro emozioni. Dolan ci accompagna all’interno di un viaggio gentile e delicato dell’anima di ognuno di noi, dove non ci sono certezze e risposte chiare, ma dove albergano spesso incertezze, rancori e fragilità dirompenti. Dolan scrive, dirige e monta, come spesso fa, questa pellicola scarna e asciutta, rispetto alla complessità formale e stilistica delle sue ultime due opere, che, però, è in grado di scaturire una serie di potenti ed iconografiche immagini che vanno direttamente nel cuore dello spettatore per trovare un posto sicuro ed accomodante.

Con una scrittura immediata ed una tecnica cinematografica fresca e diretta, l’autore canadese crea una serie di esperienze che diventano mitologia moderna per la lettura e l’interpretazione delle emozioni più profonde e potenti che, nella nostra vita, siamo tutti chiamati a vivere. La storia di Matthias e di Maxime, in fondo, è la storia di ognuno di noi che spesso si è trovato a dover prendere una decisione, difficile e sofferta, che avrebbe segnato per sempre ed in maniera indelebile la propria esistenza. Dolan mette una luce sulla difficoltà ancestrale di ogni essere vivente di prendere una decisione senza essere condizionato dal contesto sociale in cui vive e dalla sua esperienza familiare e personale.

Dolan si conferma come uno degli autori contemporanei più attenti e sensibili alle fragili ed impercettibili sfumature che caratterizzano l’esistenza, le gioie, i dolori di tutti gli esseri umani. Dolan incastra il suo racconto dentro le dinamiche di un gruppo di ragazzi che, tra feste, giochi e passione per il cinema, cercano di crescere con il più basso tasso di sofferenza che la vita, comunque, ha già deciso di destinare loro.

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RIVISTO

CHIAMAMI COL TUO NOME, di Luca Guadagnino (Call Me By Your Name, Italia-Francia-Brasile-Stati Uniti 2017, 130 min., Netflix).

Luca Guadagnino, anche grazie alla sensibilità smisurata del gigantesco James Ivory, realizza il suo manifesto artistico. Tratto dal romanzo del 2007 di André Aciman, il film, che chiude la “trilogia del desiderio” del regista siciliano, ci parla di Elio e Oliver e del loro primordiale ma intenso e dirompente sentimento amoroso. In un’Italia degli anni ottanta, il giovane Elio, americano ed ebreo, vive con la sua famiglia in una antica e grandissima villa nella provincia di Cremona. Qui, ospite del padre professore ed archeologo, ogni estate li raggiunge uno studente e ricercatore dagli Stati Uniti. Nell’estate raccontata nel film arriva Oliver, un ragazzo biondo e bellissimo che da subito sconvolgerà la vita di Elio.

Guadagnino, prendendo spunto dall’innamoramento reciproco dei due ragazzi, ci racconta, con una potenza poetica senza precedenti, della crescita, del corpo che cambia, dell’età adulta che arriva, con violenza e senza darci il tempo di organizzarci, nelle nostre fragili e piccole esistenze da adolescenti.  Scoprire l’amore, il sesso e le emozioni forti diventa un’esperienza traumatica che non ha regole, e che nessuno può spiegarci. Crescere, diventare adulti è una faccenda personale che siamo costretti a vivere soli, senza che nessuno possa in alcun modo aiutarci. Guadagnino ci racconta di questo trauma, raccontandoci della dolcezza e della durezza che convive nell’amore dei due ragazzi. La grandezza del regista siciliano risiede proprio nella capacità assoluta di cristallizzare le paure, i sospiri e le insicurezze all’interno di una narrazione poetica e profonda della scoperta dell’amore come motore unico della vita.

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