Monsignor Macchi, Paolo VI e quel palestinese

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Paolo VI nello storico viaggia in Terra Santa. Accanto a lui monsignor Pasquale Macchi

di Massimo Lodi

Monsignor Pasquale Macchi – del quale si celebra il 5 novembre un secolo dalla nascita- fu per 25 anni l’ombra di Giovanbattista Montini, arcivescovo e pontefice. Ne onorò poi la memoria con molte iniziative pubbliche, alcune a Varese e in particolare al Sacro Monte. Nei conversari privati ritornava, qualche volta, a una delle sorti assegnategli dal destino, e che assume speciale valenza nell’attuale/crudele frangente bellico: il viaggio in Terrasanta accanto al vicario di Roma.

Venne compiuto nel 1964, all’inizio di gennaio. Era la prima volta che un Papa pellegrino saliva sull’aereo, e soprattutto che andava nei luoghi della nascita, vita e morte di Gesù. Montini aveva maturato da tempo la decisione, in largo anticipo rispetto all’annunzio ai padri conciliari del Vaticano II. Mise per iscritto la sua volontà nel messaggio inviato alla Segreteria di Stato il 21 settembre ’63. “Dopo lunga riflessione e dopo d’aver invocato il lume divino, mediante l’intercessione di Maria Santissima e dei santi apostoli Pietro e Paolo sembra doversi studiare positivamente se e come possibile una visita del Papa ai luoghi santi, nella Palestina”.

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Monsignor Macchi

Macchi partecipò in gran segreto all’organizzazione, andando in Medio Oriente con monsignor Carlo Maria Martini, futuro capo della chiesa milanese; e preparando le tappe della missione, già definite in ogni particolare quando, il 4 dicembre, il Papa rese noto l’epocale evento nella basilica di San Pietro: “Vedremo quel suolo benedetto donde Pietro partì e dove non ritornò più un suo successore…”. Gli rispose uno scrosciante applauso.

Montini trovò laggiù un’accoglienza entusiastica. Tanto gli si strinse attorno la folla che il suo segretario finì per esserne travolto, perdendolo di vista. Un momento drammatico. Ricordava Macchi: “Vicino alla porta di Damasco la macchina del Papa ondeggiò come una barca, lui scese, ma io venni allontanato con forza e non potei seguirlo. Provvidenzialmente, grazie a un palestinese che avevo conosciuto durante il precedente sopralluogo, riuscii a raggiungerlo e affiancarlo durante il percorso lungo la Via Dolorosa e fino al Calvario, in mezzo a una strabiliante moltitudine”.

Fu così per tre giorni: un abbraccio continuo tra chi stava lì e chi lì era venuto, con l’intento di pregare e unire. “Siamo qui per batterci il petto e domandarti perdono” disse il Papa nella Basilica della resurrezione. Parole, sottolineava Macchi, che aprirono non solo il dialogo: aprirono i cuori. Il pontefice riprese le grandi lezioni del Vangelo: a Nazareth celebrò il silenzio, la vita familiare, il lavoro. E riuscì ad essere, come voleva, messaggero di pace. L’incontro con il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras, mostrò che qualcosa di grande/unico stava avvenendo.

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Massimo Lodi

Nell’impegno varesino da arciprete, Macchi trasferì la memorabile esperienza: trasformò il Sacro Monte nella meta d’un pellegrinaggio sempre più intenso; ottenne di farvi salire Giovanni Paolo II accompagnato dal cardinale Martini, simbolico trait d’union con Paolo VI; aggiunse alla nostra storia un capitolo insperato, rendendoci ascoltatori privilegiati della parola cristiana. La si dovrebbe spendere, alta e forte, in questa tragica contemporaneità.