Presidente della Provincia con ago e filo per cucire una maggioranza

Per cercare di capire quale Provincia disegnerà Marco Magrini bisogna partire da un posto. Quello scelto da Marina Paola Rovelli al momento del suo ingresso in consiglio provinciale. Il sindaco di Comabbio, candidata nella lista civica due anni fa (e prima dei non eletti), si è accomodata proprio dove fino al penultimo consiglio stava seduto Marco Magrini, oggi presidente. E, anche nel momento in cui la surroga è stata sancita dall’assise, Rovelli non si è spostata. È rimasta nella posizione civica, l’unica che fisicamente sancisce una certa distanza dal centrodestra, ma anche dal centrosinistra, e garantisce (in un linguaggio non verbale) l’adesione al progetto Magrini.

E questo è il primo tassello di un presidente che dal momento in cui ha vinto le elezioni ha preso (idealmente) in mano ago e filo. Perché una cosa è evidente e ieri è emersa in maniera chiara: a oggi non c’è una maggioranza. C’è una guida, un vice (Valentina Verga, con delega al Personale) e sei consiglieri, tra Pd e Terzo polo, che sostengono il nuovo numero uno. Gli altri, se si esclude Rovelli, sono 9 e hanno fatto “gli indiani”. Nel senso che – chi più chi meno – qualche segnale di fumo, in direzione Magrini, i consiglieri del centrodestra l’hanno affidato al vento, affinché chi doveva capire potesse capire.

Chi? Mattia Premazzi, ma non solo. Restiamo per un attimo al sindaco di Venegono Inferiore. È presidente anche di Eupolis, associazione civica che annovera, tra gli altri, Marina Paola Rovelli. Possibile che da qui in avanti continuerà a restare tra i banchi dei forzisti? O forse, più probabile, siederà accanto al sindaco di Comabbio e darà vita a un gruppo civico? Logica vorrebbe la seconda ipotesi, ma la strada non è così immediata. Perché prima ci sono le regionali.

Appunto, le elezioni per il governatore della Lombardia, infatti, hanno imposto uno stallo sulla distribuzione delle deleghe. Ubi maior… E minor, il presidente della Provincia, cuce e tesse rapporti. «Massima apertura a tutti i gruppi consigliari e ai singoli consiglieri che vorranno collaborare», ha detto Magrini nel suo discorso di insediamento. Anche leghisti e forzisti: «Perché ho vinto anche grazie al sostegno di sindaci e amministratori del centrodestra». In effetti Antonelli paga dazio per 6 mila voti (circa) rispetto a Magrini, ma la coalizione ha subito un’emorragia di 10 mila preferenze rispetto a soli due anni fa.

E quindi? Leghisti e forzisti varcano o non varcano la posta aperta da Magrini? “Calma e gesso”, hanno detto ieri sera in consiglio Alberto Barcaro e Simone Longhini, per poi spingere su “senso di responsabilità”, “amore per l’ente” e “valore del bene comune, dei Comuni e dei cittadini”. Insomma, al momento a tirare il freno sono più le rigidità delle segreterie provinciali che quelle personali. Certo è che la posizione più delicata è quella di Fratelli d’Italia e del consigliere Marco Colombo. Che, per ordini di scuderia (a oggi irrevocabili), è nella spiacevole posizione di veder che i frutti del (ottimo) lavoro fatto (su ciclabile e Perstorp, ad esempio) vengano raccolti da altri. Quindi costretto a rosicare due volte.

Un quadro, quello tracciato, che porta a una doppia considerazione: la situazione che si è venuta a creare a Villa Recalcati è inedita e da caricare sul conto della sciagurata riforma Delrio. Una legge che, anziché imprimere innovativa propulsione all’ente Provincia com’era nelle intenzioni, in realtà ci riporta indietro di almeno 40 anni. Ovvero ai tempi della Prima Repubblica, quando, dopo le elezioni, la maggioranza andava costruita in consiglio. La seconda considerazione è che, per assurdo, nel momento in cui Marco Magrini riuscirà a plasmare e governare l’ente, potrebbe davvero scrivere un nuovo capitolo della politica provinciale. In caso contrario, perché la scommessa non è da poco, assisteremmo al naufragio del civismo. E in un’epoca in cui i partiti sono deboli, rimarrebbe davvero ben poco sotto il cielo della politica.