Samarate, sempre meno insegnanti al nido. Le proposte per evitare l’esternalizzazione

asili nido Varese

SAMARATE – L’ipotesi delle assunzioni è da scartare e nel futuro del Nidondolo si staglia sempre di più l’immagine dell’esternalizzazione. A Samarate si torna a parlare dell’asilo nido comunale. Un tema che ha in più occasioni messo a confronto le forze politiche cittadine. Non ultima, la Commissione Istruzione di ieri, 9 febbraio. A presentare una panoramica della situazione attuale, l’assessore alla partita Linda Farinon. Dalle «necessità» al numero delle classi. Dalla composizione del personale interno alle differenze generali tra affidamento esterno del servizio completo e quello tramite concessione. E se la maggioranza offre un quadro che, lo sanno, preoccupa. La minoranza prende atto e avanza alcune proposte.

Le proposte della minoranza

Dal fronte della minoranza, le proposte non sono mancate. Così Maurizio De Tomasi, coordinatore di Samarate Città Viva: «Si potrebbe coinvolgere la scuola materna Macchi Ricci, che ora dispone di molti spazi liberi e meno bimbi. Senza spendere per una cooperativa si potrebbero usare più o meno le stesse cifre per un servizio di Samarate. Si potrebbe parlare di collaborazione e concedere anche due classi, lasciandone una alle attuali educatrici del nido». L’idea avanzata da Tiziano Zocchi (Progetto Democratico) è di «assumere tre persone per il nido». Una possibilità che non vede sbocchi. «Siamo di fronte a qualcosa che era già scontato. Siamo dispiaciuti, perché da due anni chiediamo di affrontare il problema dal punto di vista complessivo. Per portare avanti questa discussione tutti insieme si dovrebbero condividere i documenti prima degli incontri istituzionali. E permettere lo studio adeguato per offrire spunti e soluzioni. Questo ancora oggi non viene fatto. La maggioranza farà una scelta politica, legittima, e si dovrà prendere le sue responsabilità». A chiudere il Movimento Cinque Stelle, con la proposta di Alessio Sozzi e Fortunato Costantino di «invertire le classi, con le educatrici interne che si occupano dei piccoli e affidare alla cooperativa i medi e i grandi. In questo modo si lascerebbe una porta aperta per tornare a una completa gestione interna».

Le necessità e lo stato attuale

Ciò che serve ora è una programmazione a lungo termine, «per riportare il nido alla piena capienza e per rendere più flessibile la riorganizzazione del servizio viste le assenze brevi e di media durata». Questo, tenendo presente che «le diverse attività legate alla gestione esterna aggravano il coordinamento e riducono l’omogeneità dell’offerta». Fino al nodo causato dal blocco assunzioni. «Per recuperare una completa gestione interna servirebbero 5 nuove insegnanti. Infatti, la situazione oggi si presenta così: «La classe dei piccoli è composta da 5 bambini ed è seguita da un’educatrice della cooperativa esterna, che presto sarà supportata da una dote comune o servizio civile». Attualmente il personale interno è formato «da una coordinatrice a 18 ore settimanali, quattro sono a 36 ore, oltre a un’ausiliaria a 36 ore e una a 18». Non solo, un’educatrice dal primo marzo inizierà in un altro Comune e «la soluzione per tamponare è stata individuata internamente, assumendone un’altra a tempo pieno tramite la cooperativa che si occupa dell’assistenza educativa». Va ricordato che «il servizio è attualmente in gestione diretta con personale comunale, tranne il pre e post nido, il sostegno ai minori con disabilità, la gestione della sezione dei piccoli e la ristorazione».

Le differenze

Un accenno anche alla differenza tra affidamento esterno del servizio completo e quello tramite concessione. Nel primo caso si prevedrebbe «una pianificazione organizzativa e finanziaria, unitaria». E che potrebbe includere i servizi ora gestiti dalla cooperativa con appalto. Per il personale, poi, «il codice civile obbliga al suo trasferimento, quindi l’eventuale internalizzazione può avvenire solo a condizione che nel fabbisogno ci sia personale da reclutare con questa finalità». La seconda ipotesi, invece, «è ipotizzata come la modalità più semplice: si trasferisce il rischio operativo al concessionario, che assume a suo carico gli oneri di gestione ed è titolato a incassare le entrate derivanti dalle rette. La stazione appaltante dovrà poi prevedere una quota a carico del Comune a riequilibro del piano finanziario in caso di entrate stimate inferiori ai costi».