di Massimo Lodi
Il messaggio di Zelensky letto su Raiuno a tarda ora è la peggior stecca dell’avventura festivaliera. Inviti il poverocristo a testimoniare dell’orrenda invasione di cui è vittima la sua terra e poi releghi l’intervento a quattro ore dall’inizio della serata conclusiva? Ma che scelta etica e politica, civile e culturale è? O credi nell’opportunità di diffondere le parole del capo d’una nazione aggredita e già tributaria di migliaia di morti a bombe e missili oppure lasci perdere. O sei convinto della funzione informativa dell’opinione generale anche in un’occasione grandiosamente leggera come Sanremo oppure scantoni dall’argomento. O pensi che oggi la prima delle emergenze nazionali sia d’usare ogni mezzo di depotenziamento d’un conflitto deleterio per chiunque, noi compresi, o eviti la mezza misura. Anzi, il mezzuccio.
Perché di questo viene il dubbio -certo fallace, e però ti rode- che si tratti. Un lavaggio inconsapevole/improvvido di coscienza con ammorbidente. Ovvero: voglia di raccontare della spaventosa tragedia, ma risultato di diluirne il vigore narrativo, stivandola in fondo al bucato canzonettaro. Così da autorizzare un’esegesi perfino e ingiustamente canzonatoria.
Si può dare del prevenuto a chi interpreta in tal maniera un’opzione inspiegabile? Si può plaudire a una scaletta che, pur se ne viene attribuita condivisione all’ambasciata ucraina in Italia, lascia basìti? Si può essere orgogliosi di un’emittente pubblica che, nel mitico programma d’intrattenimento d’eco planetaria, sminuisce anziché esaltare il profilo istituzionale che la storia dello spettacolo/del costume italiano le assegna?
Le risposte sono tre no. E se davvero lo sono, vuol dire che non ci si è interrogati abbastanza sul possibile, spinoso, amaro equivoco. Topica sorprendente. Ecco il formidabile esempio d’un acuto proposito che, nella festa della melodia più armoniosa, si presta a venir percepito come nota di biasimo.