Dieci anni di Spazio Farioli, la mostra “Di Luce e di Materia” ricorda l’artista

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BUSTO ARSIZIO – Dopo la pausa estiva Spazio Arte Carlo Farioli riprende la stagione espositiva con la mostra “Di Luce e di Materia” dedicata, a dieci anni dalla scomparsa avvenuta il primo marzo 2013, all’artista cui è intitolata l’associazione culturale. L’antologica, a cura di Antonio Maria Pecchini ed Elisabetta Farioli, presenta una selezione di oltre trenta opere che Farioli ha realizzato nel corso della sua vita, focalizzandone alcune tra le tematiche e i periodi più significativi: si potranno ammirare dall’inaugurazione di oggi, sabato 30 settembre, alle 18 fino al 22 ottobre (dal giovedì al sabato dalle 16.30 alle 19, domenica dalle 10.30 alle 12 e dalle 16.30 alle 19). In esposizione anche una serie di inediti ai quali Farioli ha lavorato affiancando la produzione più conosciuta.

Le possibilità espressive che la luce porta con sé

Scrive Pecchini nel catalogo: “L’impostazione grafica suggella un colpo d’occhio ben definito sia nella rapidità del racconto sia nel gesto pittorico che compie quando ci rinvia i ricordi visivi dei tanti viaggi, sia nel mandare alla memoria i luoghi cittadini di una storia appena passata. Ma ne è testimone anche quando, grazie alla sapiente riflessione sulle priorità e espressività del colore nella sua naturalità, mostra le possibilità espressive che la luce porta con sé nel comporre i suoi lavori, così come personalissima è la riflessione sulle tematiche del sacro. Lavori che raccontano, con giusta distanza e un ben misurato equilibrio formale, una pittura ricca di una matura consapevolezza formale che regala continue emozioni, passioni e memorie, in grado di aiutare a superare le nostre umane finitudini”.

Carlo Farioli

L’omaggio con i pensieri e le opere degli amici artisti

Di comune accordo con i soci fondatori si è deciso di invitare a esporre a questa mostra anche alcuni amici artisti di Farioli e altri che l’hanno stimato e che ancora di lui serbano un caro ricordo come Giovanni Beluffi, Sergio Mara, Massimo Massarelli, Giancarlo Pozzi, Antonio Maria Pecchini, Jano Sicura e Annibale Vanetti.
Per l’occasione ciascuno di loro ha scritto un pensiero con il quale rendergli omaggio nell’anno in cui, oltre a celebrare il decimo anniversario della morte, avrebbe compiuto novantadue anni. La mostra, che coincide anche con il decimo anno della fondazione dell’associazione, è accompagnata da un catalogo con la riproduzione delle opere esposte, i testi di Luciana Ruffinelli, Antonio Maria Pecchini e i pensieri degli amici.

L’influenza determinante dei viaggi africani

Carlo Farioli (Busto Arsizio, 5 maggio 1931 – Milano, 1 marzo 2013), di formazione autodidatta, ha frequentato il corso serale di nudo all’Accademia di Brera a Milano. Ha iniziato la sua attività professionale come disegnatore di stoffe, attività che lo ha portato a visitare Parigi dove la pittura impressionista ha esercitato un’influenza profonda sul giovane artista.
Abbandonato l’impiego si è dedicato totalmente alla pittura. Sul finire degli anni Sessanta ha iniziato una serie di viaggi che hanno modificato radicalmente sia la tecnica sia la concezione artistica del suo lavoro. I soggiorni in Bretagna, in Africa (nel Sahara e nell’Uganda), in Spagna, in Messico, in Brasile, hanno determinato lo sviluppo formale della pittura, dall’Impressionismo all’Espressionismo.
Nei suoi dipinti l’artista ha usato particolarmente il colore, il movimento della pennellata e del disegno nel tentativo di rendere con il massimo d’immediatezza una straordinaria molteplicità e diversità di visioni. Sua priorità è stata quella di fermare l’immediata emozione dello sguardo con la frantumazione dei dati oggettuali che si snodano davanti ai suoi occhi. Tipici i riferimenti ai temi dei “galli”, delle “corride” realizzati con olio e acrilici sia su tela, sia su tavola.
Ma sono stati soprattutto i viaggi africani a condizionare definitivamente l’opera pittorica con le atmosfere infuocate del deserto, la visione di uomini quasi surrealmente immobili in mezzo a spazi immensi, l’esaltazione delle grandi figurazioni che la natura ha plasmato in grandiosi scenari dove domina soprattutto la solitudine. Nel tentativo di cogliere l’intima essenza di queste visioni, spesso allucinanti, il pittore è approdato a forme che sembrano riallacciarsi più inconsciamente che intellettualmente al surrealismo. I “massi” e gli “scogli” sahariani si inseriscono in questo spazio con una ricchezza materica opaca così da creare soggetti palpabili come sculture in pietra.

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