Varese, il professor Grossi: «Vaccinazioni non stop. La prima dose subito per tutti»

varese paolo grossi covid vaccini

VARESE – «Di fronte a un numero ridotto di vaccini, si potrebbe posticipare il richiamo per permettere ad almeno il doppio della popolazione di usufruire della prima dose. Sarebbe meglio avere un maggior numero di persone che hanno un livello di protezione più basso, ma comunque elevato (92%), che una quota minoritaria con un livello difesa leggermente superiore (94%)». Così il professore Paolo Grossi, direttore del reparto Malattie Infettive dell’ospedale di Varese e accademico all’Università Insubria di Varese, oltre che esperto della task force del Comitato tecnico scientifico nazionale. Il noto medico è intervenuto oggi, 17 marzo, durante un incontro in streaming con gli studenti del Falcone di Gallarate, dando un quadro preciso della crisi Covid nel mondo, in Italia e in Lombardia.

Varianti e vaccini

Il sopravvento delle varianti, il ruolo fondamentale dei vaccini e la capacità di diffusione del virus, ma anche le giuste precauzioni e le speranze per il futuro. Sono solo alcuni dei temi affrontati da Grossi, in occasione dell’istituzione della giornata nazionale in memoria delle vittime Covid, che ricorrerà ogni anno il 18 marzo. Presenti da remoto anche il dirigente scolastico Vito Ilacqua, il dirigente dell’ufficio scolastico provinciale di Varese Giuseppe Carcano e la professoressa Annitta Di Mineo.

I giovani e il fattore varianti

Non è un caso che il luogo scelto per la presentazione del medico sia stato proprio una scuola. «I giovani rappresentano il futuro – ha detto – ed è giusto mettersi a disposizione, per cercare la loro collaborazione». Il punto di partenza è il picco vertiginoso di contagi raggiunto lo scorso ottobre, seguito da un sali e scendi di casi che ha allarmato le istituzioni sanitarie. Soprattutto ora che la situazione sembra prendere nuovamente una brutta piega. «Molto è dipeso dai comportamenti illegittimi, ma comprensibili, dei ragazzi, che cercano socialità dopo il lockdown». Lo dicono i numeri: il 17% dei positivi tocca la fascia che va dai 0 ai 18 anni, mentre ben il 44% riguarda le persone tra i 19 e i 50 anni. Senza considerare che il 70% dei giovani affetti dal virus è asintomatico o paucisintomatico, «aumentando le possibilità di diffusione».

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Il pretesto ideale per riassumere quanto sta accadendo oggi. A prendere il sopravvento sono le varianti del virus, quella inglese su tutte. Infatti, se fino a due settimane fa in Lombardia si registrava il 64% di casi da variante, oggi «sono sicuro che sia il 100%: il virus tradizionale (wild type) è scomparso». Nulla di diverso da un punto di vista della letalità, ha specificato Grossi, «ma cambia la rapidità di diffusione, motivo per cui la situazione in Lombardia è tornata a preoccupare». E in modo particolare nella provincia di Varese. Con 677 casi – aggiornato a ieri, 16 marzo – risulta seconda solo al milanese, che è di ben altre dimensioni.

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Il ruolo dei vaccini

In questa battaglia al virus, il ruolo più importante è sicuramente giocato dai vaccini. Come è noto sono quattro quelli che approvati da dicembre a febbraio: Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson. Tutti con lo stesso obiettivo, ovvero «produrre una risposta immunitaria in grado di neutralizzare il virus e impedire l’infezione delle cellule». Ogni vaccino presenta delle percentuali di efficacia differenti, con un risultato che in linea di massima è simile per tutti. In particolare sul fattore letalità del virus: «Tutti valgono al 100% sulla prevenzione dell’evento morte».

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Ora la ricerca si sposta sulla possibilità di ampliare il numero di persone che possano accedere alla prima dose. Infatti, nel caso Pfizer, «dopo 14 giorni dalla prima dose la protezione è del 92.6%, mentre 7 giorni dopo la seconda, la percentuale è del 94.8». Di fronte ad un numero ridotto di vaccini, l’idea è di posticipare il richiamo per permettere ad «almeno il doppio della popolazione» di usufruire del primo ciclo. Sì, perché «sarebbe meglio avere un maggior numero di persone che hanno un livello di protezione più basso, ma comunque elevato (92%), che una quota minoritaria con un livello difesa leggermente superiore (94%)». Ma in questo senso si dovrà aspettare anche la posizione del Ministero.

Il caso AstraZeneca

Un accenno anche alla recente sospensione della campagna vaccinale AstraZeneca. Al 10 marzo, ha spiegato Grossi, sono stati segnalati trenta casi di eventi tromboembolici «tra quasi quasi 5 milioni di persone, nello spazio economico europeo, che hanno fatto questo vaccino». A questi se ne aggiungono «altri 11 milioni del Regno Unito». Per un totale di 16milioni di vaccinati. Numeri che fanno prendere una posizione netta al medico: «In media, indipendentemente dal vaccino, in Italia ci sono eventi tromboembolici che ammontano a 150 al giorno. Quindi è difficile mettere a relazione che questi trenta casi siano avvenuti a causa della dose AstraZeneca, e non perché c’è una relazione temporale». In poche parole: «Il fatto di sospendere la vaccinazione con il beneficio che può portare, mi trova in totale disaccordo».

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