Varese, professor Grossi: «Correre con i vaccini. Ospedali con troppi ricoveri»

Paolo Grossi

VARESE – Vaccinarsi tutti e in tempi rapidi. E ospedali ancora con troppi ricoveri e senza più posti a disposizione. A fare il punto della situazione sulla corsa del virus è il professor Paolo Grossi, direttore del reparto di Malattie infettive dell’Asst Sette Laghi e componente del Cts Lombardia.

Professore, quanto ne sappiamo sulla sicurezza dei vaccini?
«I vaccini di cui disponiamo oggi sono assolutamente sicuri ed efficaci. I tre che stiamo usando e il quarto che arriverà ad aprile (Johnson & Johnson ndr) danno una protezione nei confronti della malattia grave e della morte del 100%. Questo è l’obiettivo che si vuole raggiungere con la somministrazione di questi vaccini».

Le problematiche con AstraZeneca sono quindi superate?
«Le preoccupazioni, successive al fermo dei vaccini di AstraZeneca da parte di Ema, si sono rivelate essere prive di fondamento. A fronte di oltre 20 milioni di soggetti vaccinati ci sono stati 30 casi di trombosi. In Italia ogni giorno in soggetti non vaccinati se ne osservano almeno 160. Quindi dire che questo è una conseguenza del vaccino ovviamente è una pura coincidenza temporale in soggetti che avrebbero molto verosimilmente sviluppato lo stesso problema a prescindere dalla vaccinazione».

Qual è l’invito dunque ai cittadini?
«L’invito è quello che tutti quanti si vaccinino il più rapidamente possibile proprio per cercare di uscire da quest’incubo che stiamo vivendo da oltre un anno. Noi sanitari, ma anche tutta la popolazione, l’economia e tutto quello che ci va dietro. Dobbiamo cercare di metterci in una condizione tale per cui si possa riprendere a vivere».

E gli ospedali possano tornare e occuparsi anche di patologie non Covid, giusto?
«Certo. Stiamo lavorando perché gli ospedali possano riprendere a gestire in modo adeguato tutte le altre patologie che purtroppo, da un anno a questa parte, stanno subendo delle limitazioni perché siamo oberati di pazienti Covid che non ci danno spazio per altro. Credo che la vaccinazione oggi sia l’unica arma su cui possiamo contare per sperare di vedere un po’ di luce in fondo a questo tunnel».

Sul territorio di Varese a che punto siamo della pandemia a livello di pressione sugli ospedali e di circolazione del virus?
«Noi abbiamo una fortissima pressione, ci sono ancora oltre 400 pazienti ricoverati nella nostra azienda, questo dà la misura di quanto sia ancora presente il problema. Tutti i giorni io non faccio in tempo a liberare un posto letto e immediatamente lo devo rioccupare. C’è una forte necessità di far fronte, al punto che ad esempio domenica alcuni pazienti di Varese sono stati inviati in altri ospedali lombardi proprio perché noi non eravamo più in grado di accoglierli. Questo dà la misura di quanto il problema sia presente ancora in modo significativo».

Vaccini a parte, per contenere il virus, restano valide le regole che tutti abbiamo imparato?
«L’invito è di rispettare tutte le norme comportamentali ampiamente note perché il virus circola. Ormai la variante inglese in Italia è oltre l’86%, quindi di fatto il virus originale di Wuhan non c’è più. C’è questo che si diffonde molto più rapidamente, molto più efficacemente e quindi dobbiamo stare riguardati. Capisco che è faticoso, lo è per tutti, ma se vogliamo davvero riprendere a vivere anche noi come ospedali dobbiamo fare in modo che la gente non si infetti».

Chi si è già vaccinato come si deve comportare?
«Esattamente allo stesso modo, anche perché non ci sono evidenze che l’immunità indotta dai vaccini che sicuramente previene la malattia grave e la morte prevenga l’infezione. Quindi io posso essere infetto asintomatico e quindi trasmettere e di conseguenza devo usare esattamente le stesse misure che usa chi ancora non è vaccinato».

Rispetto all’anno scorso quanto sapete di più della malattia?
«Sono stati fatti tutti una serie di studi e abbiamo molto affinato le nostre modalità di gestione. Purtroppo però per contrastare questa infezione abbiamo ancora un armamentario molto limitato. Bisogna cercare di gestire al meglio quel poco che abbiamo soprattutto utilizzando la tempistica dell’impiego di questi farmaci».

Sui farmaci, quali non bisogna utilizzare ad esempio?
«Il cortisone: noi ricoveriamo un sacco di pazienti che da casa arrivano in terapia con il cortisone e con gli antibiotici, in barba a tutte le raccomandazioni internazionali, nazionali, regionali e locali. I medici di medicina generale e delle Usca spesso trattano col cortisone nella fase precoce dell’infezione. Questo fa sì che i pazienti contagiati evolvano in modo più rapido verso i casi più gravi, quindi è proprio sbagliato concettualmente. Sarebbe bene che tutti quanti si adeguassero a quelle che sono le raccomandazioni inviate».

Lorenzo Crespi