Villa Recalcati periferia della politica

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Villa Recalcati periferia della politica. Il prossimo 18 dicembre i sindaci e i consiglieri dei Comuni del Varesotto saranno chiamati alle urne per il rinnovo del consiglio provinciale. Così vuole il meccanismo introdotto dalla sciagurata legge Delrio, pensata con l’ambizione di riformare l’ente Provincia, ma che di fatto ha reso zoppo un livello di governo del territorio di cui (ahimé) ci si accorge dell’esistenza e dell’utilità sempre troppo tardi, ovvero nel momento del bisogno. In soldoni: quando nevica o bisogna stendere nuovo asfalto e “tirare a lucido” i quasi 700 chilometri di strade provinciali; o quando bisogna mettere mano al portafogli per riqualificare gli edifici scolastici di proprietà della Provincia. E a volte servono i miracoli, poiché a Villa Recalcati (e a tutte le Province) hanno lasciato qualche potere (si dovrebbe dire competenza), ma hanno contingentato i soldi. Costringendo gli amministratori a dover fare spesso le nozze con i fichi secchi.

Gratis anche le “rogne”

E tutto questo, ovvero i pochi poteri e le risorse scarse (ma anche il taglio degli emolumenti a presidente e assessori, of course), hanno contribuito a togliere interesse alla conquista del palazzo. E ora, a distanza di 7 anni dall’introduzione della riforma, e dopo i sussulti politici che hanno portato prima Gunnar Vincenzi a piantare la bandiera del centrosinistra in piazza Libertà e poi Emanuele Antonelli a rimettere in sella il centrodestra alla guida dell’Ente, il rinnovo del consiglio, oltre che di secondo livello per legge, lo è anche per interesse e “peso” dei candidati presenti nelle sei liste in competizione.

Non è, infatti, un caso che i big tra le fila di centrodestra e centrosinistra latitino. Un po’ per il limite imposto dalle regole (si possono candidare solo i consiglieri in carica, quindi chi è assessore in una grande città non è consigliere ed è tagliato fuori); un po’ perché l’impegno amministrativo in Provincia è davvero spirito di servizio (sono gratis il ruolo e le “rogne”), un po’ perché i big dei partiti che potrebbero mettersi in gioco hanno detto “no grazie”.

Non le solite facce

Nulla di male, ci mancherebbe. Anzi, a guardare il bicchiere mezzo pieno, si potrebbe commentare: “Non le solite facce“. Talmente insolite però, che a volte nemmeno chi ha messo insieme le liste conosce a menadito nomi, cognomi e Comune di riferimento del candidato. Ma suvvia, sono dettagli di una politica che, se si chiede il motivo di questo sbilanciamento a vantaggio dei nuovi rispetto ai nomi più noti, risponde: “Per dare più spazio e rappresentatività ai piccoli Comuni“. Che però, e qui tornano le regole fissate dalle elezioni di secondo livello, pesano (in termini di voti ponderati) come le piume rispetto ai consiglieri-elettori delle grandi città.

La realtà è ben differente dalla messa cantata dai veri esponenti di partito. L’interesse per la Provincia è squisitamente politico (infatti non c’è uno straccio di programma elettorale): ovvero piazzare la bandiera di coalizione su un ente che, così com’è, non né carne né pesce. Ma solo agone per esercizi stilistici di partito. Se così non fosse, infatti, il campo elettorale di Villa Recalcati avrebbe davvero potuto essere l’incubatore su larga scala per testare nuove e trasversali alleanze. Una su tutte e della quale tanto si parla (e basta): quella tra i moderati, riformisti, liberali, cattolici, cristiani, popolari e (termine che ci sta bene come il grana grattugiato su diverse portate) civici. Oggi divisi in mille cespugli e tra i due schieramenti opposti e incollati a schemi stantii, ma che (chissà ancora per quanto) continuano a garantire rendite di posizioni sempre più asfittiche. E forse anche questo spiega la latitanza dei big. Un po’ come nel calcio, a fine stagione, quando la partita ancora da giocare non ha più nulla da dire, in campo scendono le seconde linee. Con rispetto parlando di chi si candida per la “mission” Villa Recalcati.

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