Assembramenti nei supermercati, ma ristoranti e bar chiusi. Qualcosa non va

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Foto di repertorio

Tra le incongruenze dei pur sacrosanti provvedimenti restrittivi per arginare l’epidemia non passa inosservata la disparità tra negozi, ristoranti, bar e supermercati. Una situazione che, anche e soprattutto in provincia di Varese, genera perplessità per la linea dura imposta alle rivendite e ai locali pubblici rispetto al “liberi tutti” dei grandi magazzini.

Mesi di chiusura forzata, mesi di incassi “regalati” al coronavirus, mesi di ristori che non coprono affatto le perdite, per di più con la minaccia di pesanti sanzioni nei confronti dei commercianti e dei ristoratori che derogano dalle norme. Tutto ciò a fronte degli assembramenti quotidiani nei supermercati. Assembramenti, certo. Clienti che si affollano, diversi senza mascherina, davanti agli scaffali, senza nessun distanziamento e, soprattutto, senza che nessuno controlli loro la temperatura corporea né preveda ingressi contingentati in modo da evitare il caos, terreno privilegiato dal virus per diffondersi.

Niente controlli

Nelle prime settimane del lockdown, questa primavera, i gestori dei supermercati avevano organizzato controlli rigorosi, distanziamenti e servizi di igienizzazione per gli avventori. Poi dimenticati nei mesi successivi, anche in queste ultime settimane in cui i contagi hanno ripreso vigore. Le autorità preposte a far rispettare i divieti sembrano non accorgersi di tutto ciò. Anzi, concentrano le loro azioni preventive e repressive nei centri cittadini, a discapito dei gestori di ristoranti, bar e negozi. Tra l’altro, doppiamente penalizzati per aver dovuto adeguare i loro locali alle originarie prescrizioni del governo. Per dirla in un altro modo, denaro uscito dalle loro tasche e volato via. Oltre al danno anche la beffa.

#ioapro

Per venerdì 15 gennaio è in programma una manifestazione di protesta dei ristoratori, #ioapro, un momento di “disobbedienza civile” per cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica e non solo su una situazione decisamente grave, più volte sottolineata dai diretti interessati, ma senza trovare i necessari riscontri da parte delle istituzioni. Insomma, saracinesche alzate un po’ dappertutto, infischiandosene delle zone rosse, arancione o gialle. Una questione di sopravvivenza per la stragrande maggioranza degli imprenditori. Molti dei quali pronti a chiudere per sempre la loro attività sotto il peso della mancanza di incassi e con l’incombere di tasse, bollette, mutui da pagare che ristori e asporto non riescono a sanare. Con una sottolineatura in più: coi ristoranti e i bar chiusi, il virus si diffonde ugualmente. Come a dire: non siamo noi gli untori.

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