La neve, le colpe dei sindaci e le nostre

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Letta su Facebook: “Siamo un paese da Terzo Mondo”. Inoppugnabile la risposta: “Con la differenza che da noi, d’inverno, qualche volta nevica”.  Come dire che dovremmo essere abituati a certi disagi, benché enti e amministrazioni preposti alla pulizia delle strade siano stati sommersi dalle contumelie degli automobilisti e dei comuni cittadini. Sindaci e quant’altri sono deputati a gestire l’emergenza neve sono accusati di aver placidamente dormito al cospetto della coltre bianca. Peraltro annunciata da giorni. Non si può smentire l’evidenza: venerdì, la provincia di Varese è rimasta paralizzata nella tempesta di neve, che è andata accumulandosi con una velocità senza precedenti. Quasi come la famosa nevicata del 1985: chi c’era non può averla dimenticata. Poche ore di fiocchi sono bastate per provocare il massimo sconquasso sulle strade, seppellendoci tutti o quasi. Fenomeno meteorologico previsto e prevedibile, lo potranno dire gli esperti del settore. Per quanto possiamo capirne, a noi pare che la neve ci abbia sorpresi per la quantità e la rapidità con cui ha imbiancato paesi e città. E strade.

Si poteva fare di più per limitare i danni? Si può sempre fare di più e meglio, ci mancherebbe. Ciò che nessuno riesce a fare, salvo i prescelti dal Signore, sono i miracoli. Con questo non intendiamo affatto assolvere i capataz istituzionali, ma nemmeno crocefiggerli. Soprattutto se pensiamo a quanto ha fatto ciascuno di noi per adeguarsi all’innevamento, al di là delle pur legittime proteste. In quanti si sono messi alla guida con l’auto dotata di gomme invernali? Chi non le ha montate è complice del disagio. Non crediamo sia necessario spiegarne i motivi. E i camionisti? E’stato sufficiente lo strappo di un qualunque cavalcavia per “inchiodare” sul posto pesantissimi e lunghi Tir, quanto di meno opportuno da mandare in giro durante una nevicata. E per mandare in tilt una viabilità già allo stremo.

D’accordo, paghiamo le tasse e pretendiamo che le istituzioni rispondano. Per l’autostrada, ad esempio, il minimo è attenderci l’immediato e efficace intervento degli spalaneve: oltre alle tasse si paga pure il balzello del pedaggio. In quanto ai marciapiedi nelle città, il problema è più complesso. A meno che si abbia l’accortezza di far scendere in campo disoccupati, coloro che attingono ai fondi dei servizi sociali o, infine, chi percepisce il reddito di cittadinanza. Qui, è scontato, bisognava allargare il “piano neve” preparato dai Comuni, se mai l’abbiano preparato. Si sa come vanno certe cose nel nostro Paese, persino nella pragmatica Lombardia. La classe dirigente non può sottrarsi all’autocritica. Che dovrebbe comunque interessare l’intera collettività. A volte priva di senso civico: ciascuno, per dirne una, dovrebbe e potrebbe pulire di sue sponte il pezzetto di marciapiede davanti alla propria abitazione, ma non si fa. Infine, lasciatecelo dire, ci sono tensioni comprensibili in un mondo che va veloce e a un tempo si incattivisce; tensioni che però denotano come si stia perdendo la virtù della tolleranza. Siamo diventati tutti intolleranti, al punto che venti centimetri di neve ci mandano fuori giri, come se fosse arrivata la fine del mondo. Così che si possa gridare allo scandalo, senza rendersi conto che scandalosa rischia di diventare la società, non la neve.

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